SCONTRI IN LIBIA
1 - DIETRO IL CAOS DI TRIPOLI C'È IL CAMBIO DI LINEA DELL'AMERICA SULL'ITALIA
Germano Dottori per il “Fatto quotidiano”
Nella resa dei conti in corso in Libia si intrecciano dinamiche geopolitiche complesse. La maggior parte delle analisi si concentrano sul duello tra il presidente Serraj e il maresciallo Haftar, evidenziando come alle loro spalle si intravedano, rispettivamente, il nostro Paese e la Francia. Purtroppo c'è di più. Nella nostra ex colonia, sono entrati in crisi gli accordi di Skhirat con i quali, stante Barack Obama alla Casa Bianca, si decise di attribuire la legittimità internazionale a un esecutivo emanazione di forze riconducibili all' Islam politico.
trump e obama
Serraj ebbe una copertura dalle Nazioni Unite, ma decisivo in suo favore fu l'appoggio degli Stati Uniti, oltre alla protezione ravvicinata di mezzi italiani e inglesi. Il "governo di accordo nazionale" in realtà non riuscì mai a stabilire il proprio controllo su tutta la Libia. Vi si sottrasse persino Misurata, baluardo della Fratellanza Musulmana libica e sede di una importante minoranza etnica turca, malgrado formalmente riconoscesse Serraj.
al sisi
Rifiutarono la soluzione trovata a Skhirat tutti coloro che vi videro un pregiudizio per i propri interessi. Gli egiziani, in primo luogo, in quanto ormai ferocemente ostili all' Islam politico, ma anche i paesi del Golfo accomunati dallo stesso sentimento, come l' Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, dei quali è evidente l' impegno contro Tripoli anche in queste ultime settimane. La Francia, che aveva optato per Serraj, iniziò a remare contro. Si realizzò comunque un fragile equilibrio, con i due blocchi coagulatisi attorno a Tripoli e Tobruk che si equivalevano.
SCONTRI IN LIBIA
Tale situazione è però cambiata alla fine del 2015, quando anche l' Italia di Matteo Renzi si allineò a Serraj e si distanziò dalla Cirenaica, poco prima che in Egitto si verificasse l'odioso assassinio di Giulio Regeni. Si noti come di questo omicidio fosse vittima un italiano, che studiava in Inghilterra e si appoggiava all' American University del Cairo. Quando invece in Libia eravamo prossimi ai filoegiziani anti-islamisti di Tobruk, il Consolato generale d'Italia al Cairo subì un attentato di matrice jihadista mentre da Tripoli il libico Gwell ci inondava di migranti. Ad alterare lo scenario sono state soprattutto due circostanze.
al serraj haftar giuseppe conte
In primo luogo, la freddezza dimostrata da Obama nei confronti del leader egiziano Al Sisi dopo il colpo di Stato contro il presidente eletto Mohammed Morsi che ha indotto l' Egitto dei militari ad attuare un riavvicinamento alla Russia del quale è un aspetto anche la recente vicinanza di Mosca ad Haftar.
La sconfitta di Hillary Clinton e l'insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump hanno poi innescato una profonda trasformazione della politica mediorientale e nordafricana degli Stati Uniti. È venuto meno l' appoggio trasversale offerto all' Islam politico da Obama e ha preso forma al suo posto un disegno di restaurazione dell' ordine intorno a due pivot: l'Egitto di Sisi e l' Arabia Saudita di re Salman e Mohammed bin Salman. Una fotografia - scattata nel 2017 a Ryad poco dopo il discorso con il quale il tycoon aveva chiesto ai cosiddetti Paesi arabi moderati di spazzare via i jihadisti - ha cristallizzato il nuovo dato geopolitico, mostrando Trump, Sisi e Salman con le mani protese su un globo luminoso.
Che il riorientamento della politica mediorientale statunitense finisse con il riverberarsi anche in Libia era inevitabile.
haftar serraj
Ci si può casomai chiedere perché il vecchio approccio obamiano sia sopravvissuto così tanto all' avvento di Trump. La spiegazione va cercata nell' esigenza americana di non indebolire un' Italia che appariva utile al contenimento dell' asse franco-tedesco in Europa. La politica di Washington nei confronti della Libia è da tempo una derivata della sua strategia europea e ha risentito di tutte le sue successive rimodulazioni, in parte a loro volta esito delle giravolte compiute dal presidente francese Emmanuel Macron negli ultimi due anni.
MANIFESTAZIONE IN LIBIA
È purtroppo forte la sensazione che la benevolenza americana nei nostri confronti stia adesso venendo meno per effetto dell' entrata del nostro Paese nelle Vie della Seta cinesi, per quanto si sia fatto molto per cercare di attenuare le preoccupazioni americane nei confronti dell' influenza acquisita su di noi da un rivale strategico di Washington.
Se l' avanzata di Haftar godesse veramente di una benedizione da parte di Trump e se a questo cambio di cavallo da parte americana in Libia seguissero altre mosse ostili - come i dazi che potrebbero abbattersi sull' agroalimentare italiano, colpendo quasi cinque miliardi di nostre esportazioni - forse s' imporrebbe una riflessione sulle implicazioni degli sviluppi dati alle nostre relazioni con Pechino. Dobbiamo correre ai ripari, prima che sia troppo tardi.
2 - SI TEME L' ONDATA DI ESULI LIBICI DUELLO SALVINI-CONTE SUI PORTI
Alberto Gentili per “il Messaggero”
MACRON SERRAJ HAFTAR
Se non è defunto, è già colpito al cuore il tentativo di Giuseppe Conte di evitare che anche la guerra in Libia diventi terreno di scontro elettorale tra la Lega e i 5Stelle. Il premier venerdì ha istituito il gabinetto di crisi, ha chiesto «unità, compattezza», ha invitato tutti a «evitare slabbrature e voci dissonanti». Meno di 24 ore dopo, però, Luigi Di Maio e Matteo Salvini tornano a bisticciare. E questa volta soltanto su un' ipotesi, anche se decisamente allarmante: l' eventuale emergenza umanitaria, una nuova ondata di sbarchi sulle nostre coste, che potrebbe essere innescata dalla guerra civile a Tripoli.
LIBIA - MILIZIE DI HAFTAR
Tutto comincia da una dichiarazione del premier. Questa: «C' è il serio rischio che si sviluppi una crisi umanitaria che sfinirebbe una popolazione già provata da otto anni di instabilità. E la Libia, da Paese per lo più di transito di migranti dall' area subsahariana, diventerebbe un Paese di partenza delle migrazioni. Questo metterebbe a dura prova un sistema di accoglienza che ancora non funziona a livello europeo».
Passano un paio d' ore e Salvini infrange la regola del silenzio (imposta da Conte su richiesta di Di Maio proprio per lui), sui temi libici. «Emergenza umanitaria? Non cambia nulla per le politiche migratorie per l' Italia», è l' esordio del ministro dell' Interno. Segue l' affondo: «In Italia si arriva con il permesso, coloro che scappano dalla guerra arrivano in aereo come stanno facendo. Ma i barchini, i gommoni e i pedalò in Italia, nei porti italiani, non arriveranno». Concetto ribadito dal viceministro dell' Economia, Massimo Garavaglia: «Per fortuna abbiamo chiuso i porti. E ora resteranno chiusi a maggior ragione».
LIBIA SCONTRI TRIPOLI
Siccome il tema è delicato e i sondaggi raccontano che è decisamente impopolare tifare per l' accoglienza, anche se riguarda chi fugge alle guerre, tra i 5Stelle nessuno reagisce ufficialmente. Ma da palazzo Chigi fanno sapere: «Se c' è una guerra, non si parla più di migranti economici per i quali è giusto chiudere i porti, ma di rifugiati con diritto d' asilo e a quelli in base al diritto internazionale non puoi negare l' accoglienza». Sulla stessa linea la Farnesina: «Chi fugge dalla guerra diventa immediatamente un rifugiato e gli va concesso l' asilo.
Però in caso di emergenza, di flussi anomali e improvvisi, in base ai trattati europei deve scattare la ripartizione obbligatoria degli esuli tra tutti i Paesi dell' Unione». Obbligatorietà in passato violata da Polonia, Ungheria e Slovacchia per le quali scattò la procedura d' infrazione.
RUOLI E COMPETENZE
SOLDATI IN LIBIA
Ma c'è dell' altro. C' è che nel governo la tensione sulla Libia tra 5Stelle e Lega è massima. Ecco Di Maio: «Il dossier libico è di competenza di Conte, della responsabile della Difesa Trenta e del ministro degli Esteri Moavero. E non serve che Salvini incontri Maitig», il vicepremier libico. Ed ecco Elisabetta Trenta: «Non servono prove di forza e non serve fare i duri per avere i titoli sui giornali. Qui bisogna avere la testa, non la testa dura». Di parere diverso Moavero che, in base a ciò che filtra dalla Farnesina, vede in modo positivo l' impegno di Salvini nei dossier libici. Tanto più perché questi riguardano settori di competenza del Viminale: il terrorismo e la questione dei migranti.
L' intesa tra Esteri e Interni però si ferma qui. Anche Moavero, al pari di Conte, non apprezza che Salvini sia tornato a cannoneggiare la Francia. Primo, perché il premier e il responsabile degli Esteri lavorano «per spingere Parigi fuori dall' ambiguità». Secondo, perché dopo la crisi diplomatica di febbraio superata solo grazie all' intervento del Quirinale, palazzo Chigi ritiene utile evitare un' escalation di tensione con l' Eliseo. Salvini, alleato della Le Pen, però se ne infischia e anche ieri ha attaccato Macron.