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    LIBRI A PERDERE – NEL ROMANZO DELLA VIGILESSA DI FIRENZE CHE RENZIE HA MESSO A CAPO DEL DIPARTIMENTO LEGISLATIVO DI PALAZZO CHIGI, 336 PAGINE DI PERLE A NON FINIRE


     
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    Marco Gorra per "Libero Quotidiano"

     

    Antonella Manzione Libro Antonella Manzione Libro

    Il guaio con i libri brutti non è quando restano chiusi nel cassetto. È quando ne escono perché ritenuti a torto o a ragione, degni di essere pubblicati. L’assunto pare adattarsi alla perfezione a Martina va alla guerra, romanzo scritto nel 2010 da un’Antonella Manzione ancora lontana dai fasti di Palazzo Chigi (dove oggi fa il bello e il cattivo tempo in qualità di capo del legislativo di Matteo Renzi). Il volume, che l’autrice rivendica esserle valso l’ambito «premio dei lettori per il miglior scrittore toscano», è pubblicato dall’editore Mauro Pagliai, stazza 336 pagine e costa 13,65 euro. Ed è orrendo.

     

    MATTEO RENZI E ANTONELLA MANZIONE MATTEO RENZI E ANTONELLA MANZIONE

    Trama inesistente (donna di mezza età subisce mobbing, fa causa, cambia lavoro e città nel contempo ritrovando se stessa); stile ampolloso che risulta vieppiù appesantito da un profluvio di aggettivi che nemmeno nel dizionario dei sinonimi; personaggi tagliati a colpi di motosega con la protagonista che è una specie di Maria Goretti appena cresciuta e si ritrova circondata da un’umanità variamente mascalzona (e fisicamente brutta, per giunta) dove non c’è redenzione per alcuno; raffiche di luoghi comuni che trasformano il monologo interiore in una specie di figlio del peccato di Carolina Invernizio e Jovanotti.

     

    MATTEO RENZI E ANTONELLA MANZIONE MATTEO RENZI E ANTONELLA MANZIONE

    Il romanzo risulta pertanto essere un formidabile compendio di tutto quello che non dovrebbe trovare spazio in un libro. C’è la goffa ostentazione di erudizione: «Le sue reminiscenze letterarie la portavano a comprendere la disperazione di Dorian Gray che vede sfumare con l’inesorabile fluire del tempo il sogno dell’eterna giovinezza cristallizzato nel famoso ritratto che dà il titolo all’impareggiabile romanzo». Dice proprio così: «impareggiabile», come in una televendita delle pentole.

     

    C’è la ricerca della frase ad effetto che apre gli occhi e fa riflettere: «Si sentiva impotente ed affranta, lei, donna occidentale libera di indossare i pantaloni e mostrare i lineamenti del volto, eppure schiava dell’arroganza di un potere subdolo che premia la sua corte dei miracoli e dimentica la meritocrazia» (e che nesso ci sia tra mobbing e burqa l’ha capito solo lei).

    RENZI AFFACCIATO ALLA FINESTRA DI PALAZZO CHIGI IN MAGLIETTA BIANCA RENZI AFFACCIATO ALLA FINESTRA DI PALAZZO CHIGI IN MAGLIETTA BIANCA

     

    C’è lo sfoggio di paroloni e frasone: «Lo studio delle minacce che le derivavano dal mondo nella sua analisi di contesto non ne aveva selezionato il messaggio preoccupante, comunque neutralizzato nel diagramma immaginario dalla rilevanza attribuita erroneamente ai propri ritenuti punti di forza».

     

    Trecentotrentasei pagine di roba così: reminiscenze di lei da piccola che guarda la pioggia sulla finestra e realizza che le goccioline sul vetro le stanno chiedendo aiuto, digressioni sulla legalità che tengono insieme le cause di lavoro e il duo Falcone-Borsellino, concioni contro «il maschilismo imperante nel mondo del lavoro» («Veniva retrocessa perché colpevole di essere donna al potere in un mondo ancora troppo coniugato al maschile»).

     

    Palazzo Chigi Palazzo Chigi

    Tanto il ben di Dio che uno rischia persino di perdersi la perla vera. È a pagina 125, inizio del capitolo XV: «Un vecchio collega di lavoro, un dirigente che aveva fatto grande l’azienda e che all’arrivo di Gianluca ai vertici era stato “rottamato”, come si usava dire con gergo aziendalistico assai poco rispettoso della dignità della persona. “Rottamato” come un veicolo dismesso, un’utilitaria fuori uso che non serve più e butti in una discarica». Occhio che se lo legge Renzi sono dolori.

     

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