Tommaso Labate per il “Corriere della Sera”
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Domanda: la Lega pensa a un' alleanza con il Partito popolare europeo dopo le elezioni del 26 maggio? Risposta: «Ci spero. Intanto faccio i migliori auguri agli amici spagnoli, che portino il vento del cambiamento anche a Madrid». Con le parole consegnate venerdì ai cronisti a margine di un' iniziativa elettorale a Biella, Matteo Salvini ha iniziato a disegnare la possibile inversione a U della Lega rispetto al racconto che lui stesso aveva costruito negli ultimi anni attorno al rapporto col Ppe. Anni passati a volte a tirare di sciabola, a volte di fioretto, con il gruppo trainato dal partito di Angela Merkel. Anni che adesso sono pronti per essere lasciati alle spalle, seppelliti da quella «speranza» che Lega e popolari europei si incontrino dopo le elezioni per governare insieme il Vecchio Continente.
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Ventiquattr' ore prima dell' apertura delle urne in Spagna, insomma, Salvini si è inserito sulle uniche onde radio in grado di sintonizzare il Carroccio con uno dei possibili scenari del voto iberico. Ha manifestato via Twitter il sostegno a Santiago Abascal, leader di Vox; contemporaneamente, ha messo nero su bianco la speranza di chiudere un accordo col Ppe, la cui succursale spagnola - il Partido popular - ha strizzato l' occhio a Vox per tutta la campagna elettorale.
Joseph Daul
Per completare il puzzle, manca un tassello. Uno solo, il più noto, il rapporto con Viktor Orbán, che rappresenta l' ala destra del Ppe. Nonostante il veto del presidente del Ppe Joseph Daul che a Le Monde dice «nessun accordo con i populisti», il piatto forte dell' incontro col presidente ungherese, giovedì a Budapest, sarà proprio questo. Come svincolare il Ppe dall' abbraccio coi Socialisti, aprendo contemporaneamente le porte a un' alleanza a destra che parta proprio da Salvini. È l' esatto contrario della lettura che veniva data qualche mese fa, quando la smentita di Orbán rispetto a una sua possibile uscita dal Ppe era considerata come una doccia gelata per il leader del Carroccio. Orbán invece rimane dentro, per poter trascinare dentro Salvini.
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In fondo, è lo stesso schema usato dai vertici del Ppe alla fine del secolo scorso, quando le porte della casa del popolarismo europeo - che in Italia veniva rappresentato dagli eredi della Dc - vennero aperte, con tanto di tappeto rosso, all' ingresso di Silvio Berlusconi e di Forza Italia. Identico il canovaccio, identico il risultato finale. L' ex ministro della Giustizia Clemente Mastella, testimone oculare del congresso del Ppe che aprì all' ingresso di FI (lui all' epoca sosteneva il centrosinistra, e con molti dei post-dc italiani era contrario), la spiega così: «Siamo spesso portati a caricare le scelte dei partiti europei di un contenuto ideologico che non hanno, o comunque non fino in fondo.
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Lì è soprattutto una questione di numeri e di alleanze per governare. Berlusconi venne accolto perché aveva i numeri. A Salvini potrebbe capitare la stessa cosa».
Tra gli effetti collaterali della possibile svolta di Salvini verso il Ppe c' è anche quello di dare l' ennesimo dispiacere al M5S. «Non credo che Ppe e Pse avranno il 51 per cento dei seggi», ha detto il vicepremier Luigi Di Maio immaginando per il suo gruppo addirittura un ruolo da «ago della bilancia». Se il Ppe finisse per guardare a destra, però, tutto cambierebbe. O, se non tutto, molto.
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