Estratto dell’articolo di Chiara Saraceno per “la Stampa”
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Lo scorso anno le famiglie hanno speso un 4,1 % in più per nutrirsi, ma hanno acquistato un 2% in meno di prodotti alimentari, nonostante abbiano fatto in misura maggiore gli acquisti nei discount rispetto ai supermercati, ipermercati, piccoli negozi e commercio ambulante. È quanto emerge dai dati sull'andamento delle vendite al dettaglio pubblicati ieri dall'Istat.
Fotografano bene come le famiglie abbiano fatto fronte all'impatto dell'inflazione che è stato particolarmente pesante sui beni di necessità, in primis gli alimentari: hanno in molti casi ridotto il consumo e la qualità. La riduzione è stata altrettanto consistente, 2,3 %, per le vendite al dettaglio non alimentari, accompagnata in questo caso da una, sia pur più piccola (-0,3 %), riduzione di spesa.
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Si tratta di dati medi, che nascondono diseguaglianze tra chi ha potuto mantenere lo stesso livello e qualità di consumo alimentare, chi ha modificato di poco le proprie abitudini di consumo, e chi invece neppure ricorrendo ai discount è riuscito a soddisfare appieno i propri bisogni alimentari, chi può sostituire una lavatrice rotta e chi non può neppure fronteggiare il costo della riparazione.
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Dobbiamo aspettare i dati dell'indagine sui consumi delle famiglie, non sulle vendite, per vedere l'ampiezza e distribuzione di queste differenze. Tuttavia già i dati disponibili segnalano che l'impossibilità di soddisfare i bisogni alimentari è un fenomeno diffuso in Italia, nonostante faccia parte degli otto Paesi più sviluppati, e non riguarda solo l'ultimo anno. Secondo l'Indagine europea sulle condizioni economiche e di vita (Eu-Silc) nel 2021 il 12% della popolazione sopra i 16 anni residente in Italia soffriva di deprivazione alimentare, non potendo consumare un pasto adeguatamente proteico almeno una volta ogni due giorni.
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Una percentuale più alta di quella stimata essere in povertà assoluta in quell'anno (9,1%). Non significa che saltava del tutto i pasti, ma che questi erano costituiti da cibo "riempitivo", spesso di bassa qualità, il cosiddetto cibo spazzatura. Non a caso l'obesità, anche tra i bambini, è più diffusa nelle famiglie e nelle aree più povere. Una meritoria analisi in profondità di questi dati effettuata da ActionAid in collaborazione con Percorsi di Secondo Welfare ha evidenziato come l'incidenza di questa deprivazione fosse alta (oltre il 20%) tra i disoccupati, le persone inabili al lavoro, gli stranieri e le persone che vivono in affitto. Era oltre il 17% tra le persone a bassa istruzione.
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Le più deprivate dal punto di vista alimentare erano le famiglie monogenitore (per lo più con la sola madre) e le famiglie numerose […]
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