Marco Giusti per Dagospia
IL PICCOLO PRINCIPE
Chi non ha letto Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry? 150 milioni di copie vendute in tutto il mondo dal 1943 a oggi, 250 traduzioni. E molti tentativi, per lo più sbagliati, di dargli vita a teatro, all’opera, al cinema. L’ultimo tentativo è Il piccolo principe diretto da Mark Osborne, il regista di Kung Fu Panda e di Sponge Bob, ricchissima megaproduzione a capitale francese del greco Dimitri Rassam, si parla di 80 milioni di euro, già presentato in pompa magna a Cannes come il più ricco cartone animato mai fatto in Francia, che arriva da noi per Capodanno.
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Esce, inoltre, proprio allo scadere dei 60 anni della morte dello scrittore, data che segna in tutto il mondo, la liberazione dei diritti sull’opera, anche se non in Francia, dove sono stati prolungati alla Gallimard fino al 2032. Il che vuol dire che puoi anche provare a farne in Italia o altrove un’altra versione, ammesso che qualcuno ti dia altri 80 milioni. Ma non puoi farla in Francia. Dimitri Rassam ha visto bene di organizzare una produzione mostruosa non solo per battere qualsiasi altro tentativo di concorrenza, ma anche per assicurarsi i diritti del merchandising.
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Diciamo subito che questa versione è piuttosto riuscita, se la si inserisce nella nuova linea di animazione post-Pixar, ma può essere del tutto intollerabile per i talebani della creatura di Antoine de Saint-Exupery, anche perché veramente poco rimane del romanzo e della sua leggerezza. Mark Osborne e i suoi sceneggiatori, Bob Persichetti e Irena Brignull, non hanno messo in piedi davvero una nuova versione del romanzo, già ce ne sono state e neanche troppo fortunate, come quella di Stanley Donen del 1974, quanto un film che inserisce il romanzo come referente letterario e alla fine entra all'interno della storia coi suoi personaggi e la sua poetica.
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Operazione complessa, se si vuole, ma anche furbacchiona, salutata da "Libération" come la peggiore versione del "Piccolo principe" mai fatta al cinema, ma difesa sia da "Variety" che da "The Guardian". La verità sta un po' nel mezzo. Cioè, alla fine è un buon film moderno per la famiglia, anche sofisticato per Hollywood e ben costruito. Certo, tradisce molto l'opera originale e diventa un'altra di quelle operazione internazionali che devono essere capite ovunque, anche in Cina, a discapito del fascino originale. Ovvio.
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Così seguiamo la ragazzina americana Madeleine vive con una mamma precisina che le ha già programmato tutta la vita pensando che debba studiare e basta. Il padre non c'è, e si limita a mandarle palle di vetro di città ogni compleanno. Quando cambieranno casa, andando a vivere accanto a un vecchio palazzo, Madeleine farà conoscenza di un vecchio aviatore che le svelerà la storia del Piccolo Principe, progettando di tornare a trovarlo nel suo lontano asteroide.
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Da lì parte il conflitto tra la società moderna che annienta qualsiasi diversità e desiderio e il mondo della aviatore e del Piccolo Principe. All'interno della cornice, che ha personaggi animati in digitale benissimo, ma molto standard, ci sono persino lunghi brani del romanzo animati a passo uno, con personaggi di plastilina, questi di grande eleganza visiva.
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Ovvio che avremmo voluto tutto il film così, ma spendendo 80 milioni di dollari, diciamo che non sono più quei tempi. Osborne fa un gran lavoro di modernizzazione della storia. Personalmente non la trovo particolarmente offensiva. Certo, se volevi vedere la vecchia storia potevi stare a casa. Ma così va il mondo nel 2016. In sala dal 1 gennaio.
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