Giovanna Vitale per “la Repubblica” - Estratti
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Il rosso, il bianco, il nero. È una bocciatura in technicolor quella che, in tarda mattinata, illumina l’auletta dei gruppi a Montecitorio: seduti alla roulette del premierato, tre ex presidenti della Camera che più diversi non si può si dichiarano tutti pressoché contrari — pur con sfumature distinte — alla riforma partorita dal governo. Da rivedere, se non addirittura archiviare.
Lo dice tranchant Fausto Bertinotti: «Andiamo verso una deriva autoritaria, è questo il disegno, mettere fine alla Repubblica costituzionale e antifascista », sentenzia l’ex segretario di Rifondazione alzando il pugno chiuso. Lo ribadisce Pier Ferdinando Casini, vecchia scuola democristiana: «Attenzione alla distorsione delle regole democratiche», scandisce, abbandonando il consueto aplomb.
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E se poi, quando tocca a Gianfranco Fini, persino il mentore di Giorgia Meloni si spinge ad affermare che il ddl Casellati «non può essere demonizzato, ma nemmeno incensato », significa che davvero qualcosa non funziona nella madre di tutte le riforme. Anche perché «io ero un convinto sostenitore del semipresidenzialismo francese e lo resto », precisa lo storico capo della destra: un modello «purtroppo» negletto dall’attuale maggioranza, che avrebbe fatto meglio «a guardare al cancellierato tedesco» anziché rifugiarsi in un compromesso indigeribile ai più.
Invitati a esprimersi in ordine alfabetico, il trittico che ha guidato la Camera dal 2001 al 2013 non ha dubbi. È tutto da rifare. E forse non è un caso se il costituzionalista Francesco Saverio Marini, estensore del testo, preferisca andar via prima di intervenire. Il più netto è Bertinotti: «C’è un forte ridimensionamento del ruolo del Presidente della Repubblica. Io penso che viviamo una crisi profonda della democrazia e della politica — già oggi autoritaria, a tendenza oligarchica — e ogni ipotesi di fuga da questi problemi attraverso acrobazie istituzionali sia destinata al fallimento. A meno che non vi sia un obiettivo, cioè usare tali acrobazie come grimaldello per forzare il quadro».
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Casini richiama invece al dovere di lealtà: «Non prendiamoci in giro. Questa riforma cambia tutto a partire dalla funzione di terzietà del Capo dello Stato, al quale vengono tolti tutti i poteri di moral suasion . Sono poteri a fisarmonica funzionali a momenti di emergenza, una terzietà “senza unghie” si riduce al taglio del nastro».
Fini su questo però dissente: «La Costituzione non è un totem intoccabile, mi rifiuto di dire un no a priori», premette. Senza tuttavia celare il rammarico per l’occasione mancata: «Un partito che aveva nel programma elettorale l’opzione presidenzialista ha dovuto prendere atto che non era praticabile perché all’interno della coalizione Lega e FI hanno espresso dissenso per l’elezione diretta del Capo dello Stato», spiega l’ex leader di An.
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