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    “CI SARANNO MOLTI PIU’ ATTACCHI IN EUROPA” - IL PREMIO PULITZER JOBY WARRICK: "UNA VOLTA MORTO IN SIRIA E IRAQ, IL CALIFFATO SPOSTERA’ LE SUE FORZE IN EUROPA. A METÀ LUGLIO, I JIHADISTI HANNO CONDIVISO SU INTERNET ISTRUZIONI SU COME ATTACCARE CON CAMION O FURGONE” - JOSÉ VICENTE QUIRANTE RIVES: “CI ATTACCANO PERCHE’, CON L’ITALIA, SIAMO L’ANELLO DEBOLE UE”


     
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    Joby Warrick Joby Warrick

    1 - "ISIS INDEBOLITO, MA ORA È GLOBALE"

    Antonello Guerrera per “la Repubblica”

     

    «DOPO l' attentato di Barcellona, è probabile che ci saranno molti più attacchi da parte dello Stato Islamico in Europa e Occidente». È l' avvertimento di Joby Warrick, giornalista del Washington Post, premio Pulitzer per il suo recente saggio Bandiere nere, la nascita dell' Isis (edito da La nave di Teseo) e uno dei più grandi esperti di jihadismo e terrorismo islamico, prossimo ospite del festival di Letteratura di Mantova in settembre.

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    Perché pensa che gli attacchi possano proliferare, Warrick?

    «Perché l' Isis al momento sta impegnando molte forze per difendere i possedimenti residuali del "Califfato" in Siria e Iraq. Non è solo una questione di vendetta per le ultime, devastanti sconfitte militari sul campo, come avvenuto a Mosul. Una volta morto il Califfato, lo Stato Islamico concentrerà tutte le sue forze per compiere attacchi in Europa. E diventerà dunque una vera internazionale del terrore».

     

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    Perché l' Isis ha attaccato la Spagna?

    «È un obiettivo da diverso tempo. Ma di recente lo Stato Islamico l' ha citata molto spesso nei suoi materiali di propaganda, nelle ultime settimane soprattutto sulla chat Telegram: per l' impegno in Iraq, ma anche nell' ambito del sogno del Califfato e del mito di Al Andalus, il nome che i musulmani diedero alla penisola iberica quando la conquistarono nell' VIII secolo».

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    Il metodo del camion sulla folla sta diventando quello più usato dall' Isis nei suoi attacchi.

    «Già, perché è il più facile da realizzare, soprattutto in questo momento in cui lo Stato Islamico è in grossa difficoltà. Proprio a metà luglio, i jihadisti hanno condiviso nei loro canali Internet istruzioni estremamente precise su come compiere un attacco con un camion o un furgone, molto più dettagliate che in passato. Le nostre fonti di intelligence ci dicono che i jihadisti pensano anche a attacchi chimici, ma ora non hanno le risorse per compierli».

     

    JOSE VICENTE QUIRANTE RIVES JOSE VICENTE QUIRANTE RIVES

    Quanto è alto il rischio del ritorno dei foreign fighter da Siria e Iraq?

    «Oggi più basso che in passato: da sei mesi le intelligence europee collaborano molto di più tra loro e questo ha chiuso tante rotte. Ma allo stesso tempo è molto probabile che ci siano diverse cellule dormienti, in Spagna e in Europa che stanno aspettando il momento buono per attaccare».

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    2 - L'INTERVISTA JOSÉ VICENTE QUIRANTE RIVES

    Corrado Ocone per “il Messaggero”

     

    «La Spagna aveva già dato, diciamo così, con l'attentato alla stazione Atocha a Madrid, nel 2004. Poi un lungo silenzio, la persuasione inconscia che il fenomeno non ci avrebbe toccato in prima persona. Tranquillità. E invece ora eccoci qua a commentare questi ultimi tragici fatti», dice José Vicente Quirante Rives, già direttore dell'Istituto Cervantes di Napoli, al telefono dalla Spagna.

     

    Che cosa rappresenta la Spagna per il mondo arabo?

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    «La Spagna, agli occhi degli islamici, ha oggi una doppia immagine. Da una parte richiama un passato mitologico, il periodo d'oro della dominazione araba dell'Andalusia sotto il governo musulmano intorno all'anno Mille; dall'altra, viene vista, un po' come l'Italia, come l'anello debole dell'Europa e dell'Occidente.

     

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    Dal primo punto di vista, nessun altro Paese europeo è stato terra di conquista effettiva per gli arabi: i saraceni sono stati altrove sempre fermati alle porte. E questo è sicuramente un tratto specifico della penisola iberica, anche se il secolo d'oro dell'Andalusia è vissuto appunto con gli occhi del mito, interpretato in modo distante dalla realtà effettiva delle cose».

     

    Ma c'è anche una percezione dell'oggi che è cambiata...

    «Quanto alla percezione dell'oggi, nel Medio Oriente si ha sempre ben presente l'atteggiamento ondivago dei governi spagnoli: si pensi solo un attimo a Zapatero che a un certo punto si sfila dalla coalizione occidentale che invade l'Iraq. Questo, agli occhi degli islamici, è un segno di debolezza, non di benevolenza verso la popolazione araba».

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    Perché proprio Barcellona? Forse perché viene considerata la città più europea della Spagna, la capitale di una regione altamente industrializzata un po' come è Milano per l'Italia?

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    «Non penso. Forse semplicemente perché non era ancora stata toccata dagli attentati, al contrario di Madrid. Credo che Barcellona sia stata equiparata ad una qualsiasi altra città europea. Per di più una città che è meta classica del turismo, cioè di un'attività tipica del mondo occidentale. I turisti, provenienti per lo più dalle altre città europee, in questo periodo di ferragosto sono così tanti che mettono quasi sotto assedio la popolazione autoctona, che nei giorni scorsi ha protestato e chiesto alle autorità dei limiti agli ingressi.

     

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    In ogni caso l'immagine di Barcellona capitale europea della Spagna, che ha avuto in qualche modo la sua apoteosi con le Olimpiadi del 1992, è oggi datata, superata dagli eventi. Barcellona viene oggi vista piuttosto come la capitale del nazionalismo catalano. E il nazionalismo, comunque la si giri, è immagine di chiusura, non di apertura al mondo e al futuro. C'è però un dato paradossale in tutta questa vicenda del terrorismo islamista».

     

    A cosa si riferisce?

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    «Se la mia idea che Barcellona sia stata scelta a caso, come poteva esserlo una qualsiasi altra città europea, risulta confermato che i terroristi considerano noi europei già un'unica entità anche politica».

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