Domenico Di Sanzo per “il Giornale”
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Non basta la bagarre in ufficio di presidenza, nemmeno il pressing degli scorsi giorni per costringere il grillino Vito Petrocelli alle dimissioni dopo il suo voto contrario alla risoluzione bipartisan sull'Ucraina del 1 marzo scorso. Petrocelli, parlamentare dalle simpatie filo russe e filo cinesi, presidente della Commissione Esteri al Senato, per il momento resta al suo posto. «Ho sviluppato in questi giorni una lunghissima riflessione personale e politica, anche nei confronti del presidente Giuseppe Conte», dice il senatore. Lo stesso Conte ha continuato a difenderlo: «Petrocelli resti al suo posto».
Così il parlamentare si blinda: «Ho deciso che le dimissioni da presidente della Commissione Esteri non sono il gesto adatto a chiudere questa mia esperienza», continua. Quindi si appella all'articolo 11 della Costituzione, in cui è scritto che «l'Italia ripudia la guerra». Infatti Petrocelli svia sul voto alla risoluzione sull'Ucraina: «Non è stato un voto di fiducia ma è valso a ricordare quanto sia importante l'articolo 11 della Costituzione e i principi del M5s».
GIUSEPPE CONTE VITO PETROCELLI
La sfiducia a un presidente di Commissione non è contemplata dal regolamento del Senato, quindi Petrocelli non si dimette. L'unica concessione a chi l'avrebbe voluto fuori è l'annullamento dell'accordo di collaborazione stretto nel 2019 tra la Commissione Esteri a Palazzo Madama e la Commissione Affari Internazionali della Duma, il Parlamento russo. «Da oggi non ci sono più le condizioni perché qualsiasi attività prevista da quel Protocollo possa essere portata avanti», si cosparge il capo di genere Petrocelli. Il capogruppo del Pd in commissione Esteri Alessandro Alfieri aveva fatto pressioni affinché venisse cancellato l'accordo con la Duma.
«Oggi prendiamo atto di un cambio, da parte del presidente che ha accolto la nostra richiesta - spiega Alfieri - è chiaro che dobbiamo vedere i prossimi passi: passerà da qua, dopo l'approvazione alla Camera, il decreto Ucraina e quella sarà la prova del nove». Per il leghista Tony Iwobi la sospensione del patto è «un segnale molto importante di sintonia con l'intenzione espressa da Parlamento e governo italiano contro l'aggressione della Russia a un paese sovrano».
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Ma tutti i partiti lo aspettano al varco sui prossimi decreti Ucraina: «Secondo me doveva fare il senatore semplice ed esprimere le sue idee, ma ora vediamo che fa nelle prossime votazioni», dice un parlamentare dem membro di un'altra commissione. Il tema dei prossimi passaggi parlamentari è stato al centro dell'infuocato dibattito in ufficio di presidenza.
«Non vorrei che si nascondesse un tentativo di prendere la sua poltrona», insinua il capogruppo M5s in Commissione Gianluca Ferrara, replicando alla richiesta di dimissioni avanzata da Laura Garavini di Iv. «Parlate di poltrona voi che avete ministro, sottosegretario e pure il presidente della Commissione», ribatte Enrico Aimi di Fi. «Riteniamo che la cancellazione del protocollo stilato nel 2019 non sia elemento sufficiente», insiste la renziana Garavini.
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