Marco Calabresi per corriere.it - Estratti
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La sveglia è suonata in tempo. Ma davvero Jannik Sinner era quello visto nella prima ora della sua prima partita allo Us Open da numero 1 del mondo? No, non poteva essere quello, ora che il peggio è alle spalle e che restano solo qualche timido e isolato fischio all'ingresso in campo sull'Arthur Ashe Stadium e qualche tweet sparso dei suoi avversari, non amici.
All'americano Mackenzie McDonald non era sembrato vero di trovarsi davanti un giocatore così, che invece di entrare in campo con la testa libera sembrava avere ancora dentro tutto quel peso che l'assoluzione per il caso-Clostebol gli ha tolto. Ma non poteva essere quello neppure McDonald, onesto lavoratore, numero 140 del mondo ma che stava sognando a occhi aperti senza sbagliare una palla neanche a farlo apposta.
Gli ingredienti per una delle più grandi sorprese (e delusioni, per gli italiani) della stagione, insomma, c'erano tutti. Dopo un incubo durato un set e un game, il primo del secondo set in cui Sinner aveva commesso due doppi falli e perso il servizio dopo aver già subito tre break nel primo parziale, i pianeti però si sono riallineati: Darren Cahill e Simone Vagnozzi in panchina a dirgli di stare calmo, qualche tifoso vestito di arancione, Sinner che da solo ha pian piano capito che bisognava cambiare tutto. E che si poteva fare.
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Il break alla quarta opportunità utile nel game successivo è stato quasi un sollievo: non poteva, non doveva finire così questo ultimo Slam della stagione, il primo a New York da giocare da re del tennis mondiale e da provare a vincere contro tutto e contro tutti, nonostante le condizioni psicofisiche di Sinner non possano essere le migliori per tutto quello che è successo.
(...) «Non ho iniziato nel migliore dei modi, la prima partita non è mai facile — le sue parole —. Devi accettarlo. McDonald ha giocato davvero bene all'inizio. Ho cercato di rimanere lì mentalmente e di entrare in ritmo. Sono molto contento di essere al turno successivo e di aver vinto per la prima volta su questo campo».
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E ironia della sorte al secondo turno ci sarà lo stesso giocatore affrontato all'esordio a Cincinnati: quell'Alex Michelsen, altro americano, battuto da Lorenzo Sonego nella finale di Winston Salem (quando ha rischiato anche la squalifica per una pallata tirata in tribuna) e che è stato solo la prima parte di una giornata che per Sinner in Ohio proseguì con sei ore di audizione, quando nessuno a parte lui e pochi altri sapevano della bomba che sarebbe scoppiata di lì a poco.
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