Lorenzo De Cicco per “il Messaggero”
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«Come sto? Meglio. La febbre ora è bassa, ho solo un grande mal di testa», risponde R. M., classe 1980 di Dacca, ricoverato da sabato all'Urban Garden Hotel, sulla Tiburtina, in zona Rebibbia, albergo iper sorvegliato dove la Asl Roma 2 sta alloggiando i bengalesi trovati positivi al coronavirus. Fa il commerciante, abita in via della Marranella, tra il Pigneto e Tor Pignattara, secondo l'associazione Ital-Bangla, è una persona molto attiva, forse troppo se non si adottano le giuste precauzioni.
«Avrà incontrato almeno un centinaio di persone, magari anche di più, negli ultimi giorni, anche se aveva già la febbre», dice il presidente dell'organizzazione Mohamed Taifur Rahman Shah. «È un fornitore di tanti minimarket e negozi della zona - racconta - Sabato mattina, dopo avere saputo dal medico di essere positivo, è venuto qui negli uffici della nostra associazione, che poi abbiamo sanificato. Nel frattempo abbiamo subito contattato la Asl, che per fortuna era già a conoscenza del caso. Il problema è che ha incontrato tanta gente per lavoro e vive in un appartamento con 6 persone».
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L'interessato, che risponde al telefono dalla stanza d'hotel, racconta una versione un po' diversa, ma ammette di essere preoccupato, adesso, per aver potuto moltiplicare il contagio: «Da 6-7 giorni avevo la tosse - riprende R.M. - ero anche andato in farmacia per chiedere uno sciroppo, ho bevuto acqua calda, adesso sto meglio, ma giovedì sono andato dal medico per fare il tampone. Poi ho avuto il risultato e sabato sono stato portato qui, in ospedale». «Non è un ospedale, è un hotel - replica una voce in sottofondo, presumibilmente un'infermiera - è l'Urban Garden Hotel». «Sì, ci sono dottori insomma», spiega R.M.
IL MAGAZZINO
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Fa il commerciante, ha 40 anni compiuti da poco, è in Italia dal 2007. «Tredici anni. Ma all'inizio ho vissuto a Catania, sempre facendo il commerciante, a Roma sono dal 2013». Durante il lockdown, dice, «non sono praticamente mai uscito di casa, mangiavo e pregavo, per sei mesi. Da poco avevo ripreso a lavorare». Non sa esattamente da chi abbia potuto essere stato contagiato.
«Forse un mio amico che è tornato da Milano, nel mio magazzino abbiamo dormito insieme due-tre ore, oppure un'altra persona, un italiano, che è venuto a casa mia. Non credo invece di avere incontrato in queste settimane persone rientrate di recente da Dacca o da altre zone del Bangladesh. Io poi non ci vado da più di un anno, forse due».
Domanda: è vero, come dice il presidente dell'associazione Ital-Bangla, che negli ultimi giorni, anche avendo appunto la tosse e un po' di febbre, ha incontrato decine e decine di persone? «Ho girato con il furgone per la città, con il mio autista, per 2-3 giorni, ma non di più, perché non c'è molto lavoro, poi fa molto caldo. Ora ho buttato tutta la merce, dopo avere saputo del coronavirus».
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COINQUILINI E COLLEGHI
Ripensando all'ultima settimana, ora R.M. si dice «preoccupato» per le persone con cui è stato in contatto. Quelle che ha incontrato e soprattutto quelle con cui abita. «Ma non sono 7 - precisa - sono 5: 4 vivono nell'appartamento di sopra, io dormo nel magazzino di sotto, la notte. Però mangiamo insieme, in una stanza. Non so se stiano bene o se abbiano preso il virus, ma so che se ne stanno occupando i dottori, proprio per fare tutti i controlli. Io ora mi sento molto meglio, ho solo mal di testa». Cosa ne pensa dello stop agli arrivi dal Bangladesh? «Un mio amico doveva venire il 13 luglio - dice solo - gli ho detto che dovrà aspettare almeno un mese».