Margherita De Bac per il “Corriere della Sera”
nicola magrini
«Ho avuto il Covid, sono stato ricoverato per 12 giorni in isolamento, ho contagiato mia moglie, ma per fortuna non i miei collaboratori. So dunque di cosa parlo», si pente di essersi lasciato andare a questa confidenza davanti alle telecamere di Agorà Nicola Magrini, 58 anni, direttore di Aifa, l' Agenzia italiana del farmaco. Ma poi si apre col Corriere : «Non ho mai temuto di finire in terapia intensiva, ma aver visto il peggioramento improvviso al quarto, quinto giorno di malattia, di persone a me vicine mi ha fatto capire quanto sapessimo poco del virus e quanto vada temuto».
lavarsi le mani
Come è successo?
«Credo di essere stato contagiato a Bologna da un medico, mio conoscente. Era marzo, ero stato da poco nominato in Aifa, e avendo incontrato moltissime persone nelle mie prime settimane di lavoro, e poiché la settimana successiva avrei dovuto vedere il ministro Speranza, temendo di poter essere in incubazione la domenica precedente sono andato in ospedale per un tampone. Me l' avrebbe fatto un caro amico e collega. Dopo il prelievo mi sono fermato a parlare in corridoio con il mio amico medico, ambedue senza mascherine per alcuni minuti quasi per rilassarsi e guardarsi meglio negli occhi. Dev'essere successo lì».
Quando l' ha scoperto?
«Lui il mercoledì ha saputo di essere positivo e io il venerdì ho avuto febbre e qualche sintomo. Il sabato ancora febbre, la domenica dopo un nuovo tampone all' aperto allo Spallanzani, positivo anch' io. Lo riconosco, sono stato imprudente. Ero al primo mese del nuovo incarico e in quelle settimane ho visto tanta gente e stretto troppe mani».
nicola magrini 2
Ha contagiato sua moglie?
«Sì, mia moglie Sabrina ha avuto una forma di Covid un po' più grave di me. Io invece, a parte i primi due-tre giorni immobile a letto, con grande stanchezza e dolori muscolari, ho ripreso bene grazie anche agli impegni di lavoro che continuavo a mandare avanti. Le mie riunioni sia in Aifa sia con il Cts e la Protezione civile non si sono mai interrotte. Mi collegavo dalla stanza dell'isolamento. Restare agganciato all' ambiente esterno mi ha aiutato. Sono stato assistito da infermieri e medici di grande professionalità e umanità. Ho capito quanto sia importante sentirsi protetto e seguito da persone esperte».
Ha avuto privilegi?
remdesivir
«Mi chiamavamo Signor Aifa, ma no, posso dire che tutti gli altri pazienti dello Spallanzani potrebbero raccontare lo stessa esperienza di sicurezza e vicinanza di tutto il personale. L'unico vantaggio è stato di aver rifiutato un farmaco antivirale, che era stato studiato per l'Aids e che avendo i visto i risultati preliminari non intendevo assumere. Ho respinto quel farmaco in linea con le raccomandazioni pubblicate come Aifa dalla Commissione tecnico scientifica dove si affermava che quella terapia aveva scarsi effetti nei casi gravi.
Non vendere speranze fa parte della mia formazione, l' ho imparato all' Oms dove ho lavorato negli ultimi 6 anni.
Remdesivir 1
Mia moglie invece è stata curata con cortisone, che le ha cambiato la vita (e ora è raccomandato da Ema e Aifa dopo lo studio dell' Oms), e remdesivir (unico antivirale approvato al mondo con l' indicazione specifica per il Covid, ndr ) accettando con generosità e senso di responsabilità di partecipare alla sperimentazione in corso. Dobbiamo essere riconoscenti ai volontari e ai pazienti in generale che partecipano alla ricerca».
Mister Aifa, questo accadeva ad aprile. Dopo 6 mesi cosa è cambiato in tema di terapie?
«Ora sappiamo che il cortisone è il cardine delle cure: è provato che riduce la mortalità. Un secondo pilastro è l'eparina. All' inizio del prossimo anno arriveranno gli anticorpi monoclonali, opzione preziosissima. Il plasma iperimmune? Non si sa ancora se funziona, neppure negli Usa dopo oltre 4 mila pazienti trattati.
eparina
Quanto al remdesivir servono nuovi studi, bisogna vedere se aggiunge qualcosa all' efficacia di cortisone e eparina e il modo per farlo è uno studio randomizzato (con partecipanti assegnati a caso a due gruppi, uno che riceve il trattamento e uno di controllo ndr ). È questo che forma le nostre migliori conoscenze sull' efficacia dei farmaci. Insomma, serve più ricerca e abbiamo bisogno di meno studi clinici ma più grandi, randomizzati e più coordinati a livello internazionale».