Giuseppe Crimaldi Luigi Sabino per "il Messaggero"
Carmine D'Onofrio
Sette colpi di pistola calibro 45 per uccidere il figlio del boss e per colpire al cuore i nemici. A Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli dove la camorra colpisce duro ricorrendo anche alla strategia del terrore affidata alle bombe, l'altra notte è stato ucciso un ragazzo 23enne incensurato: ma la vittima, Carmine D'Onofrio, era il figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa, fratello di Antonio, detto Tonino ò sicco, boss ergastolano che dal carcere continua a comandare e a gestire estorsioni e traffici di droga. Un omicidio che equivale ad una dichiarazione di guerra: colpendo quell'obiettivo facile si è voluto infliggere il lutto alla famiglia che scalpita per assumere l'egemonia assoluta nel quartiere.
Omicidio Carmine D'Onofrio 2
Via Crisconio, le due della notte tra martedì e mercoledì. D'Onofrio è a bordo della sua Panda con la convivente incinta quando dall'ombra spuntano i killer. Sette colpi, tutti a segno. Per il giovane, trasportato da alcuni familiari all'ospedale Villa Betania, non c'è più niente da fare. Un delitto pianificato nei minimi dettagli. Una vendetta trasversale dalla chiara matrice camorristica in stile Gomorra, che induce gli inquirenti a ipotizzare come mandante la famiglia De Micco, che da mesi combatte i rivali senza esclusione di colpi. I sicari hanno risparmiato la compagna ventenne della vittima, scesa pochi secondi prima che la calibro 45 iniziasse a far fuoco.
Ci sarebbe dunque la regia del clan De Micco dietro l'omicidio di D'Onofrio. Lungo questa pista si muovono i carabinieri del comando provinciale di Napoli coordinati dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia. Da mesi Ponticelli si è trasformata nel teatro di una faida violentissima. L'uccisione di Carmine D'Onofrio sarebbe la eclatante risposta per vendicare un attentato dinamitardo avvenuto, poco più di una settimana fa, in via Piscettaro e che aveva come obiettivo l'abitazione del boss Marco De Micco, tornato in circolazione qualche mese fa dopo un periodo detentivo.
Omicidio Carmine D'Onofrio 3
PROVA DI FORZA Non solo. Per gli uomini dell'Arma, la decisione di ammazzare D'Onofrio non sarebbe una semplice ritorsione ma una vera e propria prova di forza che la cosca dei Bodo, questo il soprannome dei De Micco negli ambienti criminali, ha voluto dare agli avversari.
Il 23enne era figlio illegittimo del boss detenuto Giuseppe De Luca Bossa, fratello del più noto Antonio, quest'ultimo indicato come il fondatore del sodalizio malavitoso che controlla il Lotto Zero di via Cleopatra. Proprio i De Luca Bossa, insieme agli alleati della famiglia Minichini, sono considerati da anni i più irriducibili avversari dei De Micco.
La scelta di ammazzare D'Onofrio sarebbe stata presa anche per mandare un messaggio a un altro gruppo criminale antagonista dei Bodo, quello che controlla il Parco Conocal e che è considerato diretta emanazione della famiglia D'Amico, anche questa protagonista di una sanguinosa faida con i De Micco. Un rebus di alleanze e nemici.
Omicidio Carmine D'Onofrio 4
Il 23enne assassinato, sebbene non gravato da precedenti penali, da qualche tempo aveva cominciato a frequentare gli ambienti malavitosi di via Sambuco dove da diversi mesi sarebbe emersa la figura di un giovanissimo ras, noto con il soprannome di Ciculì, imparentato proprio con i D'Amico.
Antonio De Luca Bossa
Già alcuni mesi fa Marco De Micco era finito sotto la lente d'ingrandimento delle forze dell'ordine dopo che aveva, armi in pugno, riconquistato il controllo delle piazze di spaccio del Conocal. Le stesse piazze su cui De Micco, una volta tornato libero, avrebbe manifestato l'intenzione di rimettere le mani. Un'imposizione che, però, non sarebbe stata accettata passivamente da Ciculì e dal suo gruppo che, anzi, sarebbero corsi alle armi.
Anche i De Luca Bossa e i Minichini, sebbene indeboliti dagli arresti, non sarebbero disposti a tollerare il prepotente ritorno dei Bodo. L'odio tra i due gruppi è profondo: ad originarlo, l'omicidio di Antonio Minichini, figlio di Anna De Luca Bossa, ucciso dai De Micco nel 2013. Fu la scintilla che incendiò Ponticelli, l'inizio di uno scontro totale. Insomma, pessimi segnali per la periferia est di Napoli.