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Estratto dell’articolo di Stefania Ulivi per il “Corriere della Sera”
Il primo a sorprendersi di tanto amore a distanza di 40 anni per quel film in cui, a parte lui, sembrava non credere nessuno, è il diretto interessato, Adrian Lyne, il regista. […] Pochi giorni fa, alla 59ª edizione del Pesaro film festival, un pubblico ad alto tasso cinefilo ha reso omaggio a Flashdance .
Perché si stupisce?
«Ero in Italia nel 1983, al Festival del cinema di Venezia quando lo abbiamo mostrato in anteprima, nella sezione Venezia notte. Ho ricevuto recensioni orribili. Una per esempio, la tengo incorniciata nel mio studio per quanto era atroce. Ce l’ho qui di fronte mentre le parlo».
Neanche i produttori credevano nelle potenzialità del film, svendettero i diritti due settimane prima dell’uscita.
«Fu terribile, nessuno mi seguiva. Solo contro tutti».
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Come si spiega così poca fiducia?
«Penso che quello che spaventava del film era la forza, la sua energia, le scene di ballo diverse dal solito. Mi ricordo di aver insistito con lo studio sulla scena con Jennifer Beals, Alex, che balla sulla sedia con il getto d’acqua, ho immaginato gli schizzi che volava intorno e che il pubblico si arrabbiasse perché era stato bagnato. Non avevo idea di come girarla ma sapevo di non voler rinunciare. Sentivo lo scetticismo dei produttori, la cupezza sui loro volti quando mi hanno visto arrivare sul set con il tubo dell’acqua. Meraviglioso».
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adrian lyne jennifer beals sul set di flashdance
Come scelse Beals?
«Avevo visto quasi ogni attrice. Poi arrivò lei ai provini mi colpì la sua vulnerabilità.
la feci piangere, perché volevo vedere la sua gamma di emozioni. Lo ha fatto molto facilmente, perché aveva perso tutti suoi bagagli prima di arrivare ed era disperata. Penso che il film funzioni principalmente grazie a lei, perché aveva la qualità di una bambina, aveva solo 17 anni. E anche perché era una ballerina meravigliosa, davvero».
«Flashdance» ha influenzato profondamento l’immaginario pop di quegli anni.
«Trovo difficile parlare delle mie cose, ma è vero. Ricordo che alcuni esercenti mi raccontavano l’impatto sugli spettatori: “Ballano nei corridoi, ballano nei cinema”. Successe pure a Times Square, a New York. Le ragazze indossavano la maglietta calata sulla spalla. Anche quella fu una mia idea, l’avevo fatto in pubblicità prima di fare questo film, mi piaceva mettere le ragazze in vestiti da uomini, oversize , pensavo che enfatizzasse la loro femminilità».
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Anche la colonna sonora vive di vita propria: «What a Feeling», «Maniac».
«Sì, quei pezzi li senti ancora. È divertente. Ho lavorato molto su Maniac . Avevo ascoltato un gruppo tedesco, i Kraftwerk. E ho sentito nella sezione ritmica, una specie di bing, bing, bong. L’ho fatto sentire a Sembello, gli è piaciuto e l’abbiamo inserito. Abbiamo rubato ai Kraftwerk».
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Fece « 9 settimane e ½ »
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«E il commento generale: “Sai che questo è un suicidio professionale”. Credo di essere sempre stato attratto da cose un po’ rischiose».
Anche con quello, «Proposta indecente» e «Attrazione fatale» lasciò il segno.
«Ho sempre cercato solo di fare film a modo mio. Mi interessano i dettagli, piuttosto che Matrix o i film della Marvel, mi colpiscono ma non voglio farli. Forse è perché resto un regista europeo».
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