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    “A QUESTI SPAGNOLI PIACE LA MORTE. SE MORENDO NON SI MORISSE SUL SERIO, MORIREBBERO TUTTI I GIORNI” – IL REPORTAGE DI FABRIZIO RONCONE DALLA CORSA DEI TORI DI PAMPLONA: “COLPISCE CHE, ANCORA OGGI, I PARTECIPANTI A QUESTA ‘FIESTA’ SI COMPORTINO IN MODO MOLTO SIMILE AI PROTAGONISTI DEL RACCONTO DI HEMINGWAY: NON FANNO NIENTE DI FONDAMENTALE, NON PARLANO DELLA LORO ANIMA, NON SVELANO I LORO SENTIMENTI. NO: ORDINANO SOLO DA BERE E DA MANGIARE, E SE LA SPASSANO SOTTO UNA CAPPA MORTALE, IN ATTESA DI VEDERE QUALCUNO SBUDELLATO…” – L’ARRIVO DEI MANZI E ARDILLA, “IL TORO CHE HA CERCATO DI INCORNARMI”


     
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    Estratto dell’articolo di Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera”

     

    fabrizio roncone foto di bacco fabrizio roncone foto di bacco

    Fatevi un appunto mentale con questo nome: Ardilla. E’ il toro che ha cercato di incornarmi (ma bisogna ammettere che aveva molte buone ragioni per provarci). Ardilla, in castigliano, significa “scoiattolo”. Non dovete meravigliarvi, perché gli allevatori spagnoli danno ai tori i nomi più bizzarri. Comunque ad Ardilla ci arriveremo tra un po’. Ora seguitemi.

     

    E’ una bella mattina e ci sono alte nuvole bianche sopra le montagne. La notte è piovuto e l’aria è fresca e pulita e lo sguardo scorre sui bastioni di Pamplona, l’antica capitale del regno di Navarra, […] la città che Gertrude Stein - nel 1923 - consigliò di visitare a Ernest Hemingway, facendogli così scoprire la festa di San Firmino e scrivere il suo primo romanzo, che resta anche il più famoso, “Fiesta”, con dentro otto giorni di corride e di corse insieme ai tori, uomini e donne in una rocambolesca gara con la morte e con i tori nei vicoli del centro storico. Un rito medioevale, tragico, spettacolare, misterioso, che trasuda sangue e resiste ancora adesso.

     

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    […] La liturgia è precisa e immutabile. Anche molto coinvolgente. Migliaia di persone indossano l’abito tradizionale, sono vestite di bianco, con pantaloni e camicie bianche e poi, a scelta, ciascuno di loro sfoggia un fazzoletto, una cinta di stoffa, un berretto di colore rosso. Tutti sono vestiti così. I tassisti e i baristi, le anziane signore che escono dall’ufficio postale, gli addetti alla nettezza urbana, gli autisti dei bus e, ovviamente, i turisti.

     

    La prima […] sensazione è che ci siano molti americani, qualche francese, pochissimi italiani, tantissimi spagnoli. Di ogni età. Comitive di sedicenni marciano verso la città vecchia insieme a coppie di ottantenni: a questi spagnoli piace la morte o, meglio, il rischio mortale. Se morendo non si morisse sul serio, morirebbero tutti i giorni.

     

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    Li vedi eccitati e compiaciuti e con quella certa allegria provocata da un elevato tasso di alcol nelle vene. Acquistano e vuotano bottiglioni di plastica pieni di un liquido rossastro che assomiglia alla sangria, certi preferiscono la birra nei bicchieri di plastica, chiunque sbevazza qualcosa mentre si attraversa Plaza del Castillo, dove ci sono ancora due classici luoghi di culto hemingwiano: il Café Iruna, il preferito dallo scrittore, e il Gran Hotel La Perla, con le sue foto alle pareti e la sua stanza meta di pellegrinaggio devoto, la 217; dormì lì anche l’ultima volta che venne in visita, nel 1959, due anni prima di infilarsi le canne della doppietta in bocca.

     

    Il lancio del “chupinazo” è atteso in un’atmosfera febbrile. C’è gente persino sui balconi e alle finestre (affittate fino a 1500 euro). Il colpo arriva puntuale. La folla ondeggia, si stringe, si gonfia, poi esplode in una strepitosa sarabanda. I più giovani decidono di annaffiarci con il vino rosso. Euforia diffusa e abbracci e baci. […] Si balla ovunque. Comincia la lunga attesa che ci porterà alle 8 di domani mattina, quando partirà la prima corsa: l’”encierro”.

     

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    Colpisce che, ancora oggi, i partecipanti a questa “fiesta” si comportino in modo molto simile ai protagonisti del racconto di Hemingway: non fanno niente di fondamentale, non parlano della loro anima, non svelano i loro sentimenti. No: ordinano solo da bere e da mangiare, e se la spassano sotto una cappa mortale, in attesa di vedere qualcuno sbudellato.

     

    […] Il percorso si snoda lungo le stradine del centro storico: 850 metri totali, con partenza dalla salita di Santo Domingo per finire la corsa nell’arena di Plaza de Toros. La mandria è composta da sei tori e otto manzi, che hanno il compito di guidare i tori. I quali cambiano ogni giorno, perché la mattanza di una corrida non sai mai come può finire. I tori selvaggi vengono allevati soprattutto tra Andalusia ed Estremadura e vicino a Salamanca.

     

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    […] Quando arrivano qui, trasportati a bordo di camion, sono nel pieno della forza e del nervosismo. Osservarli la sera prima, sentirli sbattere le corna contro le gabbie di ferro, imprigionati, repressi, costretti a caricarsi di cieca cattiveria, e quindi di fatto torturati dentro un destino di primordiale e stupida tauromachia, scatena un istinto battente: tifare per loro. Per i tori. Un sentimento che, all’alba, è ancora più forte.

     

    […] L’encierro dura, in media, tre minuti. Ma sono minuti piuttosto lunghi. I tori non muoiono mai durante la corsa: la morte va ad  aspettarli nell’arena, e li affida ai toreri. Qui, a lasciarci la pelle, sono gli uomini. Dal 1922 al 2009, le vittime sono state 15. Il toro Semillero, il 10 luglio del 1947, fece secche due persone a distanza di pochi secondi. Il 13 luglio del 1980, Antioquio lo emulò. Il 9 luglio 1994 si contò il record dei feriti: 107.

     

    […] per  i giornalisti e i fotografi ci sarebbe una postazione riservata tra via Mercaderes e via Estafeta. Lì c’è una curva a gomito. E in discesa. I tori tendono a scivolare verso l’esterno, andando a schiantarsi contro le barriere di legno. Possono arrivare a pesare anche 700 chili. La raccomandazione, per gli umani che hanno deciso di correre, è di tagliare la curva all’interno.

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    Qualunque persona abbia compiuto 18 anni può partecipare alla corsa. Il numero dei corridori oscilla tra i 2 mila e i 3500, come oggi. Al varco di accesso sotto il Museo di Navarra c’è la fila. Impediscono l’ingresso solo a chi è ubriaco, o zoppica, o ha troppi chili addosso. […]

     

    Da un altoparlante, una voce ricorda, in spagnolo, quanto pericoloso sia partecipare. I più esperti […] spiegano a noi pivelli la regola principale per portare a casa la pelle: se cadi, assumi subito una posizione fetale con le mani in testa. Del rischio di essere incornati, non si parla. E’ un rischio. Punto.

     

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    La decisione di stare qui, all’inizio del tracciato, si rivela giusta. Cogli bene tutta l’assurda paura che i partecipanti desiderano sentirsi addosso. Vedi quello che saltella concentrato, per scaldare i muscoli. E quell’altro con la felpa rossa, che progetta di correre davanti ai tori, provocandoli. […] Un ragazzo che indossa la maglia del Barcellona, dove giocava da ragazzo, si fa il segno della Croce per tre volte. Bernard mi abbraccia e indica Camille, che da lassù ci manda un bacio. Molti si scattano selfie. Certi osservano le foto di mogli e fidanzate sul cellulare. Da Roma, pochi minuti fa, è entrato un whatsapp: “Non fare il cretino. Non ti vengo a raccogliere”.

     

    Adesso, c’è un gran silenzio. Tutti si rivolgono a una immagine di San Firmino, incastonata nel muro. E ripetono: “A San Firmino/ nostro patrono/ chiediamo che ci guidi nell’encierro/ dandoci la sua benedizione”. Gli spari saranno quattro: il primo annuncia che le porte della fattoria di Santo Domingo sono state aperte; il secondo avverte che tutti i tori sono usciti e stanno arrivando; il terzo segnalerà che la mandria è entrata nell’arena; e il quarto che gli animali si trovano nei recinti e che la corsa è terminata.

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    Avvertenza: il pubblico che aspetta a Plaza de Toros, di solito, accoglie con bordate di fischi chiunque entri nell’arena con troppo anticipo rispetto ai tori. Vabbè, fate un po’ come vi pare. Il problema non si pone.

     

    Laggiù, sulla destra, a cinquanta passi, c’è l’ingresso di un ristorante: la rientranza appare perfetta per schiacciarcisi dentro e veder sfilare la mandria con la piccola folla di sfidanti. Un’ottima tana da dove poter fare il tifo per i bestioni con le corna. Fiato sospeso. Primo sparo. Secondo sparo. Ma già si sente il rullante rumore degli zoccoli e il din don dei campanacci che i manzi tengono appesi al collo. Eccoli. Ci siamo.

     

    Un gruppone di corridori è pronto a scattare avanti. Bernard è uno di quelli che cincischia spavaldo. Solo che la mandria, giungendo in velocità, quando avvista la muraglia umanoide di forsennati spacconi, decide di purissimo istinto: e, per aggirarla, si divide. Un congruo numero di animali si butta a sinistra. Un paio di manzi e un toro color cioccolato al latte preferiscono cercarsi un corridoio a destra.

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    Cioè: scorrono esattamente davanti alla nicchia dove siamo schiacciati. Le corna roteanti del toro ci sfiorano, è possibile sentire il suo odore aspro, scorgere da vicino il suo sguardo più che inferocito, terrorizzato. Nemmeno un secondo, la frazione di un secondo. “Madre de Dios!” - esclama con una punta di eccitazione il tizio qui accanto, un americano con i capelli ricci.

     

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    Arrivano correndo i cosiddetti pastori. Gente che, brandendo corti bastoni, ha il compito di non far restare indietro nessun toro. Hanno l’aria d’essere capacissimi di prenderli per le corna, se solo servisse. L’ultimo pastore è affetto da pinguedine, s’avvicina ansimando, tossisce, ha visto la scena, vede noi ancora impietriti e allora ridacchia divertito: “Ardilla! Ardilla!”. Il toro proviene dall’allevamento La Palmosilla, vicino Cadice. Un toro agile, scattante, imprevedibile. Ma non tra i più cattivi. Buona fortuna, Ardilla, amico mio.

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