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Gerald Bruneau trucca i Bronzi di Riace
GERALD BRUNEAU // VICIOUS
Vicious
you hit me with a flower
you do it every hour
oh baby, you’re so vicious
Introdursi con l’inganno tra le quattro mura di un museo e “rapinarlo” dell’immagine simbolo della propria collezione; trattare un capolavoro dell’arte greca appartenente al V secolo a.C. alla stregua di un ready-made rettificato; usare il linguaggio del kitsch come unica categoria condivisibile; piegare l’estetica ed il canone proporzionale ideale a svolgere funzioni di denuncia sociale.
Dopo La Paolina in vetrina - operazione/incursione nella Galleria Borghese che ha visto trasformare l’effigie di Paolina Bonaparte nelle vesti di Venere Vincitrice in donna moderna, a tratti volgare, provocatoria e provocante, avvolgendola in un tulle rosso fiammante e costringendola all’esposizione in strada (nella sua versione fotografica) sotto lo sguardo irriverente dei passanti - la riapertura del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria con la collocazione, a quattro anni di distanza, dei Bronzi di Riace ancora in loco diviene pretesto per la seconda sortita: Gerald Bruneau si appropria del luogo deserto e ci restituisce la refurtiva nelle vesti di nuova creazione.
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Sottrae un’icona dal proprio status di capolavoro da conservare ed ammirare, per dare vita, attraverso di essa, ad una nuova visione. Le parole usate per introdurre la mostra del giugno 2013 presso la Galleria Opera Unica a cura Takeawaygallery si adattano tutt’oggi al progetto: le due sculture classiche, adornate, travestite, velate, divengono protagoniste di un’azione rivolta a smascherare pregiudizi e ipocrisie; si fanno interpreti di una performance in cui ogni movimento nella preparazione del set è come un atto di corteggiamento, un gesto amoroso, ma dissacrante e sfrontato; si trasformano in opere d’arte autonome, nello scatto del fotografo, con trame discordi e contrarie all’originale.
Un drappo bianco come per una sposa, un tanga leopardato, un boa fucsia gli strumenti di seduzione: il simbolo della mascolinità virile, l’eroe di guerra raffigurato al culmine del suo splendore nell’intento celebrativo, diviene, attraverso una sapiente messinscena, emblema di cultura queer e gay.
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Un video e la serie di scatti registrano il “blitz”. La fotografia per Bruneau, reporter per le più importanti testate italiane e straniere, autore di campagne pubblicitarie e con all’attivo mostre personali e collettive, ha una componente rapace e di rapina, si insinua nascosta dove non dovrebbe trovarsi per spiare e “possedere”, aggredire la realtà e mostrarne lati ignoti anche a se stessa.
La consuetudine e l’interesse verso l’attualità, invece, lo hanno indotto a pensare la sequenza – così come la precedente realizzata alla Galleria Borghese, ma con interrogativi differenti – una provocazione attinente le problematiche del presente: diritti, sessualità, genere, discriminazioni.
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Parafrasando S. Sontag in Sulla fotografia, l’immagine, per ottenere tutta la sua potenziale efficacia e scuotere le coscienze, deve essere ben ancorata alla situazione storica, quindi affrontare le tematiche più spinose e pressanti; tra queste, oggi, di primaria importanza, dignità, uguaglianza, e giustizia sociale.
Non a caso, a “parlare” sono i Bronzi di Riace, esempi di una cultura in cui erotismo ed affinità si discostano notevolmente dalla tradizione vigente, incentrata – nella maggior parte delle circostanze - sulla regola omofoba.
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Il linguaggio del Camp, eccentrico, colorato, artificioso, che porta il cattivo gusto a modello estetico, si scontra con la sovversione e l’anarchia dada: moderne Gioconda con i baffi, le sculture greche vengono simbolicamente prelevate dal loro contesto, il museo, e reinserite come agenti attivi nell’immaginario collettivo “rettificate”, cioè modificate.
L’androginia di L.H.O.O.Q., ottenuta con l’aggiunta dell’attributo maschile in un’immagine già di per sé controversa, è conseguita al contrario: è l’uomo a indossare fogge femminili, portando a compimento l’unione dei due sessi. In questo teatro della “trasgressione”, l’effimero – nel senso di performance limitata nella durata, il cui linguaggio presume caratteri di imprevedibilità, rapidità e spiazzamento - ha la temporalità della manifestazione, della marcia, della piazza, e la sua memoria avviene per documentazione video e fotografica, come in un reportage.
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Nel lavoro sui Bronzi di Riace Gerald Bruneau prosegue la sua ricerca in cui approccia alla materia inerme come fosse alito vivente, sfruttando i codici della ritrattistica nel perseguire l’espressione pregnante: l’arte è un racconto ed è un viaggio verso l’altro.
la paolina in vetrina paolina bonaparte vestita da gerald bruneau
C.M.