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    LINUS FA 60 – ''MI CHIAMO PASQUALE DI MOLFETTA, SONO UN PUGLIESE TRAPIANTATO A MILANO, E PER ANNI, SBAGLIANDO, MI SONO VERGOGNATO DELLE MIE ORIGINI E DEL MIO NOME" - FABIO VOLO ("IL PIU’ DIFFICILE DA GESTIRE"), IL RIMPIANTO DI NON AVER FATTO TV, IL GELO CON PLATINETTE E IL RUOLO DA CONSIGLIERE DEL SINDACO SALA: "RENZI? NON MI PIACE PIU’. TROPPO ARROGANTE. NON FA CHE DIVIDERE. PECCATO”


     
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    linus fiorello linus fiorello

    Andrea Scarpa per il Messaggero

     

    Questa cosa un po' lo fa incazzare - un po' tanto - quindi è meglio scriverla subito e non pensarci più. Domani, 30 ottobre, Linus compie 60 anni. Il guru di Radio Deejay, l'emittente per giovani fondata da Claudio Cecchetto nel 1982, che lui dirige dal 1994, entra ufficialmente nel decennio della terza età. Insomma, puoi anche correre più veloce e a lungo di tutti, ma da certe scadenze non si scappa. One Nation, One Station. Da lì si passa.

     

    Come ci arriva a questo traguardo?

    «A fatica. Anche se tutti mi fanno i complimenti - Come sei in forma, come te li porti bene, non l'avrei mai detto - resta che ho 60 anni e devo farci i conti».

    E quindi?

    «Mi pongo qualche domanda. Ormai faccio radio da 40 anni e anche fisicamente qualcosa è cambiato».

    Cosa?

    linus-cruciani linus-cruciani

    «Ho avuto seri problemi con i tendini e non posso più correre. Adesso vado in bici».

     

    Non aveva detto, come le rockstar di una volta, che proprio a 40 anni avrebbe mollato tutto?

    «L'ho detto, è vero. Però sono anche uno che nell'82 andò in pullman a Monaco di Baviera per vedere l'ultimo concerto dei Rolling Stones. Insomma, è come una storia d'amore, finché dura».

    Non si è stufato di stare dietro alle ultime tendenze, le nuove mode, i giovani talenti?

    «Un po', sì. Per fortuna il pubblico è cresciuto. Se anni fa il nostro ascoltatore medio aveva 18 anni, adesso ne ha venti di più. Così per me è tutto più facile. Senza calcolare che me ne sento venti di meno».

    Ha appena detto qualcosa che invecchia terribilmente.

    «È vero, ma è così. E non vuol dire che sia sempre bello». 

    Che intende dire?

    «Che alla fine, confrontandomi, la verità emerge: non ho quarant'anni, ne ho sessanta». 

    Non ha paura di sembrare ridicolo?

    «Certo. Ci sto molto attento. Ho un grandissimo senso della vergogna». 

    Una cosa di cui si vergogna?

    «Non saper nuotare. È stata dura, ma ho imparato solo pochi anni fa. Un'altra è l'inglese. Lo parlo, ma non benissimo. Per non sbagliare, i miei figli li ho mandati alla scuola americana».

     

    linus linus

    Come e dove si vede in un futuro prossimo?

    «Sono bravo a gestirmi, ma non ho mai fatto progetti a lunga scadenza. Le cose accadono da sole». 

    Un'exit strategy dal mondo della radio ce l'ha o no?

    «No. La mia fortuna è che posso permettermi di andar via senza problemi».

    Nicola Savino poco fa ha detto che da almeno 5-6 anni pensate di mollare.

    «Temiamo di non funzionare più, ma poi andiamo sempre fortissimo e continuiamo a divertirci».

    Anche da quando Mediaset è entrata con prepotenza nel mercato della radiofonia? Poco tempo fa l'ha definita la Morte Nera

    «È vero. Si sono offesi tantissimo Quella era una battuta, visto che la nuova società proprietaria di Deejay si chiama Gedi. RadioMediaset è molto pericolosa perché agli inserzionisti pubblicitari offre tantissimo. Artisticamente, invece, non mi ha creato problemi. Da quando Radio 105 è nella loro orbita, per esempio, ha perso la sua cifra folle e aggressiva e si è normalizzata. Ci hanno fatto un regalo».

     

    Il suo errore più grande?

    «Non aver insistito con la tv. Tanti amici hanno fatto una bella carriera, io no. Di fatto con la radio mi sono rinchiuso in un ufficio. A volte, però, mi chiedo: adesso sarei più felice? Mi rispondo di no. È difficilissimo fare il loro lavoro».

    Si spieghi meglio.

    «Se sei Fiorello, ti fai un sacco di domande: vale la pena andare avanti? Ha senso quello che faccio?E adesso, che succederà? O sei come Gerry Scotti, che è un factotum della tv e porta a casa qualsiasi cosa, o a un certo livello è dura».

     

    linus linus

    Qual è il rimpianto maggiore che ha?

    «Non aver fatto qualche sgommata in più. Sono quasi sempre stato un bravo ragazzo».

    Quasi?

    «A 20 anni per tornare a casa ho rubato una bici. Ho comprato un Ciao di dubbia provenienza e ho succhiato più di una volta la benzina dalle auto. Ai miei tempi lo facevano tutti. Fine».

    La cosa di cui va più orgoglioso?

    «Essere riuscito a tenere insieme una squadra come quella di Deejay così a lungo».

     

    Il più difficile da gestire?

    «Un po' Fabio Volo, ma solo perché da bambino, quando faceva i tuffi in piscina per farsi vedere, suo padre si girava sempre dall'altra parte».

    E Platinette? Non vi parlate più.

    «Mi dispiace che Mauro se la sia presa. Era un amico. Ma in radio si era ingarbugliato, e in quanto direttore dovevo fare le scelte giuste per tutti».

    Come le piace definirsi?

    «Uno dal cervello svizzero: metà artista e metà orologiaio».

    Quale metà ha prevalso finora?

    «Quella dell'artista matto».

     

    linus linus

    Se pensa al ragazzo che era, si riconosce?

    «Sono più o meno quello che ero a 15 anni. Nessun tradimento».

    Che cosa non rifarebbe?

    «Eviterei di far soffrire la mia prima moglie».

    La frequenta ancora?

    «Mai più vista dal '92».

    Lo sfizio da togliersi a 60 anni qual è? 

    «Una piccola radio tutta mia».

    È uno sfizio o un progetto concreto?

    «Un sogno».

     

    Se le offrissero un super ruolo in un'altra radio?

    «La radio a un certo livello la faccio e la farò solo a Deejay».

    L'esercizio di un potere come il suo quanto l'ha cambiata?

    «Non lo so. Di sicuro è una droga. E quando mi capita di essere stanco o depresso, mi sforzo sempre di ricordare che ho avuto davvero tanto. Sono cresciuto in una famiglia molto modesta e per due anni ho fatto l'operaio. So come vanno certe cose». 

     

    Mai avuto il complesso del terrone a Milano?

    «Per anni. Mi chiamo Pasquale Di Molfetta, sono un pugliese trapiantato a Milano, e per anni, sbagliando, mi sono vergognato delle mie origini (i genitori erano di Canosa, ndr) e del mio nome. Per fortuna la città si è emancipata prima di me e anche per me».

    Succede spesso di sentirsi depresso?

    linus linus

    «No. Ogni tanto».

    Va dall'analista?

    «Ci sono stato una decina di anni fa per fare terapia di coppia».

    Com'è andata?

    «Bene. È stata utile». 

    Come festeggerà?

    «In tre tempi: pranzo con la mia squadra della radio, cena con la famiglia e pizza il giorno dopo con gli amici della corsa. Niente di ridondante».

     

    Che regalo si farà: spider? Moto? Viaggio? 

    «La spider - una Giulietta - l'ho comprata due anni fa ma l'ho già rivenduta. Ho preso anche una moto, ma uso sempre la Vespa». 

    Manca la ventenne.

    «Troppo tardi, ormai. Sono felicemente sposato (con Carlotta, 14 anni in meno di lui, madre dei suoi due figli Filippo e Michele, 20 e 13, ndr), non faccio sciocchezze, e non ho neanche bisogno dell'aiutino azzurro».

     

    La lezione più importante dell'ultimo anno?

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    «Capire che mi sto avvicinando alla mia ombra, ricorda Peter Pan?». 

    Perché quando il Pd le ha chiesto di partecipare alle primarie per la poltrona di sindaco di Milano non ha accettato?

    «Perché la politica per me è ancora una cosa seria. Volevano solo un nome con un po' di seguito. E poi sono solo un perito elettrotecnico, sono un ignorante».

    Che adesso fa il consigliere del sindaco Sala.

    «Gli suggerisco qualche idea per aiutare lo sport in città. Non prendo soldi, però, e non ho una scrivania. Faccio il battitore libero».

    Sicuro che la politica non faccia per lei?

    «Mettiamola così: mi piacerebbe, credo che potrei farla anche bene, ma per il momento non mi interessa».

    Voterà Renzi?

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    «No. Credevo in lui, ma adesso non mi piace più il modo in cui si pone. Ha avuto una grandissima carta da giocare, ma se l'è bruciata per troppa arroganza. Doveva unire, invece non fa che dividere. Un peccato».

    Sia sincero, non ha pensato a un'uscita di scena come si deve?

    «No. Perché non so quando finirà. Una certezza, però, ce l'ho: non voglio finire sfumando, quando cioè quello che faccio sarà carino e andrà benino».

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