Marco Bresolin per "La Stampa"
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Estrazione delle materie prime, sfruttamento delle energie rinnovabili, creazione di infrastrutture strategiche: l'Artico rischia di diventare il nuovo epicentro delle tensioni geopolitiche tra le principali potenze mondiali.
Stati Uniti, Russia e Cina si stanno muovendo da tempo per mettere le mani su quell'area del pianeta che, a causa dello scioglimento dei ghiacciai provocato dal riscaldamento globale, sta subendo le trasformazioni più significative.
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Per questo l'Unione europea ha deciso di non rimanere a guardare e ha messo a punto una strategia ad hoc per rispondere alle sfide e sfruttare le nuove opportunità. «L'aumento degli interessi nelle risorse dell'Artico e nelle rotte di trasporto - recita il documento approvato ieri dalla Commissione europea - può trasformare la regione in un'area di concorrenza locale e geopolitica, provocando possibili tensioni e minacciando gli interessi dell'Ue».
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Il piano - tra le altre cose - punta a fare in modo che il petrolio, il carbone e il gas estratti nell'Artico restino nella regione. Bruxelles si attiverà inoltre con i partner globali per un approccio più sostenibile nell'estrazione delle terre rare che fanno gola a tutti. E cercherà di convincerli a sostenere una moratoria sulle trivellazioni per l'estrazione di idrocarburi.
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Secondo un recente report dell'Ong «Reclaim Finance» ci sono 599 siti estrattivi di gas e di petrolio nell'Artico: le attività sono in netta espansione grazie allo scioglimento dei ghiacciai che rende più facile le trivellazioni e il trasporto.
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Un contesto che attrae con estrema facilità i finanziamenti dei grandi investitori, nonostante i rischi ambientali. L'area a Nord del Circolo polare artico interessa otto Paesi: Stati Uniti, Canada, Russia, Islanda, Norvegia, Danimarca, Finlandia e Svezia. Gli ultimi tre fanno parte dell'Unione europea, che dunque vuole ritagliarsi un ruolo. Recentemente ha nominato un inviato speciale per le questioni relative all'Artico e presto aprirà una sua delegazione a Nuuk, in Groenlandia.
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Ma altri protagonisti si stanno muovendo nella regione, pur non facendone parte. È il caso di Pechino. «C'è stata una ripresa delle attività da parte di altri attori, tra cui la Cina - continua il documento della Commissione -. C'è un crescente interesse legato alla proprietà delle infrastrutture critiche, alla costruzione di cavi marittimi, alla navigazione e al cyberspazio».
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Ancor più esplicita la risoluzione approvata la scorsa settimana dal Parlamento europeo, con i deputati che si sono detti molto preoccupati per «gli imponenti progetti cinesi nell'Artico».
Il testo dice che l'Ue «dovrebbe monitorare con attenzione i tentativi della Cina di integrare la rotta del Mare del Nord nella sua iniziativa "Nuova via della Seta" poiché ciò pone a rischio l'obiettivo di proteggere l'Artico dagli interessi geopolitici globali».
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Ci sono poi i timori legati al rafforzamento militare della Russia nell'Artico, una mossa che «aumenta le sfide della sicurezza e potrebbe aggravare le conseguenze dei cambiamenti climatici». Per questo l'Ue intende collaborare strettamente con la Nato per rispondere alle azioni russe nei mari e nei cieli artici.
La strategia europea per l'Artico si intreccia anche con il Green Deal. L'Ue sa di essere responsabile del 31% della CO2 emessa nella regione - che negli ultimi 50 anni si è riscaldata tre volte di più della media del pianeta -, ma sa anche che lo scioglimento dei ghiacciai provoca un effetto-domino che rischia di colpire i suoi Paesi.
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Preservare l'Artico significa preservare l'Europa. Non solo: l'area offre grandi opportunità grazie al suo enorme potenziale di energie rinnovabili (geotermica, idroelettrica, eolico, idrogeno verde) e di materie prime.
«Altri attori globali si stanno muovendo rapidamente per assicurarsi le forniture» riconosce la Commissione, che non vuole rimanere indietro ma nemmeno scatenare una corsa per depredare l'area.
Per questo intende coinvolgere i partner per promuovere standard etici e ambientali in modo da ridurre l'impatto delle attività estrattive ed evitare una concorrenza economica spietata tra le principali potenze mondiali.