Marianna Vazzana per "www.ilgiorno.it"
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Bomber, giacche fluorescenti o giubbotti di pelle, cinture con fibbie vistose, cartelle vintage, occhiali da sole, calze coi rombi. Stile inconfondibile così come la mimica. Sono i paninari. Ex adolescenti degli anni Ottanta che hanno dato vita a questa sottocultura giovanile («ma chiamatela cultura», l’imperativo) tutta milanese, diffusasi poi nel resto d’Italia e nel Canton Ticino.
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Al centro: l’ossessione per l’abbigliamento griffato e il consumismo «ma non una moda fine a se stessa. Indumenti per rimarcare il senso di appartenenza, il marchio di un gruppo. Valori che oggi non vediamo più nei giovanissimi che si vestono tutti uguali e che hanno il culto dell’oggetto». Ieri si sono ritrovati in piazza San Babila: almeno in 70 per il mega raduno lanciato dalla pagina Facebook “Paninari, La Company” che raccoglie oltre 200 iscritti.
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C’è chi ha viaggiato da Catania, da Mantova, da Torino, da Genova, addirittura dalla Svizzera per ricordare «i bei tempi» che per loro non sono mai cambiati. Sì, perché anche nella vita di tutti i giorni indossano la divisa dei paninari, come Demis Denti, di Mantova, professione dj, esperto - manco a dirlo - di musica anni Ottanta.
O come Matteo Ranzi, milanese titolare di un’agenzia di marketing e che nel 2012 ha fondato la pagina Facebook, il quale sfoggia il suo look con nonchalance.
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Nome di battaglia, Gran gallo. «Il capo della company», lo presentano gli altri. Una moda non compresa dal figlio che lo ha ribattezzato «Gran pollo». A volte figli e mogli dei paninari storcono il naso davanti agli accessori, alle riviste di allora, ai dischi dei Duran Duran, di Gazebo, Spandau Ballet e Wham, ai poster di Sabrina Salerno e di Samantha Fox «gelosamente conservati».
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Ma loro non si scoraggiano mai. E allora tutti a mostrare con orgoglio le sciarpe Best Company, le cinture El Charro, le calze Burlington, i Ray-Ban originali di 30 anni fa, le giacche Stone Island e Moncler, Schott o Avirex, le cartelle Invicta Naj-Oleari, le scarpe Timberland, a mettersi in posa a pochi passi da quelli che sono stati i punti storici dei loro ritrovi: il Burghy tra piazza San Babila e corso Europa, lo stesso fast food di corso Vittorio Emanuele e «il muretto» nella stessa zona. Ieri è stato pure il giorno degli aneddoti:«Il gruppo inglese Pet Shop Boys ci dedicò una canzone, “Paninaro”.
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Merito di uno di loro che si incuriosì dopo essere entrato in un locale milanese con una giacca Stone Island ed essersi sentito chiamare “paninaro di m...”. Non conosceva il termine».
Roberto Mandile, soprannominato “lo zio” è tra gli irriducibili torinesi. «Da ragazzino rubai un paio di occhiali a Marco Beltrami, monzese, al mare. Dei Ray-Ban. Non ci conoscevamo». Paninari entrambi, si sono ritrovati anni dopo. E gli occhiali sono tornati al legittimo proprietario.
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