Giampaolo Visetti per “la Repubblica”
Joshua Wong
T-shirt nera e jeans, smartphone e longboard, un bicchierone bollente sempre in mano e cuffie sulle orecchie. Joshua Wong ha 17 anni e si confonde tra le migliaia dei teenagers globalizzati di Hong Kong. Da lunedì però non è più un adolescente cinese qualsiasi: è il nemico Numero Uno di Pechino, al punto da aver costretto il presidente Xi Jinping a convocare precipitosamente nella capitale sessanta tra i miliardari più influenti dell’ex colonia britannica, guidati dal magnate Li Ka-shing.
Joshua Wong
Leader del movimento studentesco “Scholarism”, Joshua è infatti riuscito in un’impresa: convincere 13mila studenti di Hong Kong, universitari e delle superiori, a scioperare per una settimana contro la pretesa del partito comunista di condizionare le elezioni del 2017 nella regione speciale.
Le lezioni in città sono sospese e il movimento pro-democrazia sta raccogliendo il sostegno anche di docenti e personale scolastico. L’incubo di Pechino è che la rivolta contagi presto la maggioranza della capitale finanziaria del Sud. Anche il movimento “Occupy Central”, mobilitato contro il riassorbimento di Hong Kong all’interno dell’autoritarismo cinese, ha annunciato che dai primi di ottobre bloccherà i quartieri business della metropoli, seminando il panico nel mondo degli affari e tra i funzionari comunisti.
Joshua Wong
Un braccio di ferro altamente evocativo: 25 anni fa la rivolta di piazza Tienanmen, che chiedeva libertà e democrazia in Cina, partì proprio dagli studenti, prime vittime della strage del 4 giugno.
Lo scontro, anche oggi, è cruciale. Quando Deng Xiaoping e Margareth Thatcher negoziarono il ritorno alla Cina dell’”inglese” Hong Kong, nel 1997, oltre al modello «un Paese due sistemi » fissarono per il 2017 le prime elezioni a suffragio universale. Ora la clessidra sta per finire e la tensione sale.
Xi Jinping
Ai primi di settembre Pechino ha annunciato che rispetterà la promessa, ma che gli abitanti di Hong Kong potranno scegliere solo tra uno dei tre candidati pre-selezionati dal partito centrale. Per i cinesi si tratta di una «democratizzazione progressiva in armonia con la cultura nazionale». Per gli abitanti della città che guardano a Occidente è «semplicemente una truffa».
L’impresa del ragazzo-prodigio Joshua Wong è stata mobilitare anche i figli della ricca nomenklatura filo-cinese, aprendo una frattura generazionale all’interno delle stesse famiglie. Non è stato un caso. Nel 2012, a soli quindici anni, il leader dello sciopero pro-democrazia aveva portato in piazza 8 mila studenti per opporsi alle «lezioni di educazione morale e nazionale» pianificate di Pechino.
LI KA SHING Deng Xiaoping
I vertici del partito avevano capito che la capitale degli affari off-shore poteva ribellarsi solo sotto la spinta dei giovani. Di qui il tentativo di lavaggio del cervello patriottico in scuole e università, poi naufragato. In due anni gli attivisti di “Scholarism” sono arrivati a 300, il movimento coinvolge migliaia di ragazzi e Joshua Wong è già diventato una star con il libro “Io non sono un eroe”, che spiega quanto la lotta di Hong Kong per non perdere i diritti democratici sia decisiva per l’intera Asia.
MARGARETH THATCHER
«Il suffragio universale – dice Wong - è la missione del nostro tempo e questa epoca appartiene ai giovani: per questo è giusto che gli adulti ci lascino svolgere il nostro compito». Azzardo ad alto rischio: per Pechino gli studenti in sciopero sono «estremisti», Joshua Wong è sul libro nero quale «minaccia interna» e rischia l’arresto. Dal 1989 in piazza Tienanmen al 2014 di Hong Kong: dopo un quarto di secolo in Cina sono ancora gli studenti a invocare libertà e riforme capaci di rovesciare la dittatura del partito- Stato. Rischiando, un’altra volta, di pagare per tutti.