Estratto dell'articolo di Sofia Gnoli per il “Venerdì di Repubblica”
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«Accanto al fasto delle Sorelle Fontana, ci sono i fuochi di artificio di Schuberth, le rocailles barocche, che solo lui è capace di incrostare sulla moda». Così Irene Brin descriveva su Bellezza, nel 1949, lo stile di Emilio Federico Schuberth. Nato a Napoli l'8 giugno 1904, giovanissimo si trasferì a Roma dove, dopo aver lavorato come apprendista presso la sartoria Montorsi ed essersi cimentato nella modisteria, nel 1940 inaugurò un atelier con il suo nome.
[…] Con i suoi abiti, che fondevano armoniosamente opulenza ottocentesca e glamour hollywoodiano, Schuberth incantò le stelle di passaggio nella Capitale nell'immediato secondo Dopoguerra. Era l'epoca della cosiddetta Hollywood sul Tevere, quando a Roma andavano e venivano attrici di fama internazionale per interpretare film negli economici studi di Cinecittà. Allora con il suo gusto traboccante di sfarzo e ricchezza, stregò una quantità di star.
emilio federico schuberth. moda e media ai tempi della dolce vita di dorothea burato
La sua notorietà era tale che, come ha raccontato sua figlia Gretel, la sua boutique era soprannominata "La quinta basilica di Roma".
Oggi a lui e al suo lavoro dedica un volume Dorothea Burato: Emilio Federico Schuberth. Moda e media ai tempi della Dolce Vita (Electa). […] questo volume […] indaga sulla vita e sull'opera del grande couturier morto nel 1972, concentrandosi soprattutto sul suo rapporto con il mondo dello spettacolo. Ma come si spiega che adesso la sua figura sia quasi dimenticata?
«Questa obsolescenza» sostiene la storica della moda Bonizza Giordani Aragno «è dovuta essenzialmente al fatto che il marchio Schuberth, a differenza di altre griffe italiane, acquisite da grandi holding del lusso, è rimasto silente da oltre cinquant'anni. Ed oggi la moda più che pura creatività è ormai sempre più un business. Tempo fa la griffe è stata rilevata da Elena Perrella, grande amante del brand che mi auguro la porti a nuova vita».
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Eppure «per tutti gli anni Cinquanta» racconta Dorothea Burato «la visita all'atelier di Schuberth era una tappa obbligata per le donne dell'aristocrazia e le dive del cinema. Nel lussuoso spazio romano di via XX Settembre si esauriva la differenza tra il palcoscenico e la passerella, tra la sfilata e il set cinematografico: per le clienti più importanti, il sarto trasformava la semplice prova in un rituale dal sapore fiabesco. I suoi abiti erano declinazioni di un'idea di moda che si basava in primo luogo sull'esaltazione della femminilità».
Non è un caso che Soraya, in visita nella capitale, si innamorò delle sue creazioni e gli ordinò un intero guardaroba composto da ben 30 abiti, […] accanto a Soraya e a dive internazionali come Bette Davis e Gloria Swanson, le vere muse di Schuberth sono state loro: Sophia Loren e Gina Lollobrigida.
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«Quando la Lollo varcò per la prima volta la porta del suo atelier» scriveva Michele Quiriglio su Cinema il 16 giugno 1956 «era la tipica bella ragazza italiana che non sa bene come vuole essere e come deve vestire (…), lo sguardo ancora un po' timido era incorniciato da capelli né lunghi, né corti, sempre un po' spettinati. Schuberth li avrebbe voluti corti, la ebbe vinta. Nacque così la pettinatura "alla" Lollo. Cambiato il tipo si doveva cambiare la costruzione dell'abito.
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Niente più gonne larghe ma abiti fasciati (…). Oggi la Lollobrigida è una donna preziosa dalla vita sottile, dal seno formoso che fa suscitare polemiche in America». […]
Anche nel caso di Sophia si deve in gran parte a Schuberth il cambiamento del look. Fu lui a trasformarla da tipica bellezza partenopea in musa dello stile internazionale. Nel 1950, quando partecipò a Miss Italia, la Loren non vinse il concorso ma si aggiudicò, grazie agli abiti per lei confezionati da Schuberth, quello di Miss Eleganza.
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Da quel momento Schuberth divenne il suo sarto prediletto. […]Tra i due c'era un vero feeling. «Tant'è che Sophia» racconta Giordani Aragno «conserva nel suo armadio ancora tanti vestiti del suo "Schu Schu"». […]
I suoi modelli – noti anche per gli originali procedimenti di realizzazione che vedevano accostati insieme materiali come spago e filo di seta, paglia e strass – erano famosi per la stravaganza dei nomi: "Schuberth ha sognato Chopin", "La nonna aveva ragione", "Estate al polo", "Cuore di Schuberth". […]
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