Gian Micalessin per "il Giornale"
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Che fatica rimettere ordine nella politica estera di un buon alleato caduto in pessime mani. Il Segretario di Stato Usa Antony Blinken ci prova dallo scorso aprile quando si sobbarcò l' onere della rieducazione politica di Luigi Di Maio e gli offrì l' immeritato onore di primo omologo straniero ricevuto al Dipartimento di Stato.
XI JINPING GIUSEPPE CONTE
Rimesso in riga il «Gigino» con l' appoggio di un Mario Draghi pronto a sobbarcarsi gli impegni internazionali più seri restano da risolvere gli altri disastri a Cinque Stelle. L' arrivo di Blinken in Italia in vista del G20 di Matera è l' occasione per rimettere mano a questa fatica di Sisifo. Una fatica che nella prospettiva Usa ha come principale obbiettivo la neutralizzazione del Memorandum sulla Via della Seta con la Cina.
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Subito dopo arriva la ridefinizione del ruolo dell' Italia in uno scenario libico-Mediterraneo dove la presenza turca e russa è la principale preoccupazione di Washington. Blinken, reduce già ieri da una colazione con Di Maio, vuole la certezza che l' incauto Memorandum resti lettera morta. Una certezza garantita dall' affidabilità dell' alleato Mario Draghi, ma un po' meno da quei settori governativi in cui restano annidati grillini e fazioni filo-cinesi del Pd.
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Ugualmente preoccupanti restano le lobbies filo-turche che in era 5 Stelle permisero ad Ankara di muoversi in totale libertà nella nostra ex colonia sfilandocene il controllo e avviandone di fatto la spartizione con la Russia. Un nodo russo-turco che neppure la Conferenza di Berlino di giovedì scorso ha sbrogliato lasciando nell' assoluta indeterminatezza sia il ritiro delle forze straniere e sia lo svolgimento delle elezioni del prossimo dicembre.
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Proprio per questo Blinken e gli Usa spingono l' Italia a perseguire un ruolo di capofila europeo. Un impegno fondamentale per avviare un processo di ricostruzione e far si che la potenza economica dei 27 e l' esperienza italiana risultino più appetibili dei mercenari e delle armi offerte da Mosca e Ankara. Il tutto nell' ottica di un confronto con la Turchia esteso all' intero Mediterraneo per rintuzzarne l' espansionismo e riportarlo nei recinti dell' alleanza Nato.
Ma i compiti a casa richiestici da Washington possono risultare vantaggiosi anche per risolvere altri disastri grillini. Il più evidente è la disgraziata gestione dei rapporti con gli Emirati Arabi dove prima del Covid esportavamo per oltre quattro miliardi e mezzo e dove la nostra Difesa gestiva una base di Al Minhad fondamentale per la logistica delle missioni in Afghanistan e Iraq.
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Tutto buttato alle ortiche grazie a di Di Maio e Giuseppe Conte che a gennaio «sanzionarono» gli Emirati accusati di partecipare ai bombardamenti dello Yemen. Una mossa decisa per soddisfare le fronde massimaliste grilline, ma strategicamente infondata visto che gli Emirati sono fuori dal conflitto yemenita da almeno due anni.
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Una mossa che in compenso ci è costato il risentimento del principe ereditario Mohammed Bin Zayed deciso a sfrattarci dalla base entro il due luglio e a cancellare commesse per centinaia di milioni di euro. «Un autogol tremendo - spiega Matteo Perego, deputato di Forza Italia in Commissione Difesa alla Camera - che compromette il nostro ruolo in tutto il Medioriente e ci fa perdere ingenti commesse.
L' unica speranza è che gli americani insistano per la ricucitura di un rapporto con gli Emirati fondamentale anche per la questione libica. Ma l' unico in grado di ricomporre il disastro creato dai grillini e coperto dai loro alleati del Pd è Mario Draghi. Oggi solo lui può metterci la faccia e spendere la sua autorevolezza per risolvere le nefandezze di chi l' ha preceduto».
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