Angelo Carotenuto Per il Venerdì- la Repubblica
IL SEQUESTRO DOZIER
L’estate del 1982 passa per essere stata la più felice nelle vite di chi all'epoca aveva dai sedici anni in su. Gran parte del merito fu di un calciatore, un centravanti esile e ossuto, con un nome banale, Paolo Rossi. Reinventò la sua storia personale nel giro di sette giorni, segnò sei gol in tre partite contro Brasile, Polonia e Germania. Riscattò due anni di squalifica, portò la Nazionale a vincere il Mundial, riscrisse le cronache di un Paese. Fino al mese scorso le rievocazioni erano ovunque, tutte certe di ricordare un'Italia quarant' anni fa più pura e innocente, più candida, migliore. Diamine, erano più belle pure le canzoni: non ve la ricordate, forse, Celeste Nostalgia?
Solo che la nostalgia è celeste spesso per abuso. Mentre le pagine dei quotidiani raccontavano giorno per giorno la Caporetto del giornalismo sportivo, incapace di decifrare il misterioso valore di quella squadra, altri misteri si affollavano, più cupi, oggi rimossi.
Ce ne ricorda uno Il sequestro Dozier - Un'operazione perfetta, docuserie in quattro puntate disponibile su Sky, prodotta da Dazzle, scritta da Davide Azzolini, Fulvio Bufi e Massimiliano Virgilio, diretta da Nicolangelo Gelormini. È la storia del rapimento da parte delle Br del generale americano, vicecomandante delle forze Nato nel Sud Europa, della sua liberazione nel gennaio 1982 e delle vicende giudiziarie successive: le accuse a un pezzo di Stato per i metodi violenti e le tecniche di tortura usate da chi condusse gli interrogatori dopo il blitz.
IL SEQUESTRO DOZIER
Mentre nelle nostre case si gridava gol, i magistrati di Padova scoperchiavano un universo parallelo in cui c'era un'altra squadra, quella dell'Ave Maria, guidata da un professor De Tormentiis, alias di un funzionario la cui identità sarà svelata molti anni dopo; c'erano un Vendicatore della Notte e brigatisti con bruciature sui genitali, sottoposti al waterboarding e false fucilazioni. «Il tema del lavoro» racconta Azzolini, «è dove si debba collocare la linea di confine tra quello che è lecito e quel che non si può fare nell'interesse della collettività. Fin dove può spingersi uno Stato? Chi se ne assume le responsabilità?».
La serie va oltre la vicenda stessa del generale Dozier. «Pensavo che non sarei sopravvissuto», dice lui nell'intervista. Pensava di finire come Aldo Moro, assassinato quattro anni prima, al termine dei 55 giorni di prigionia che seguirono la strage della scorta in via Fani. Moro è un'ombra in questa storia, come nell'estate '82.
IL SEQUESTRO DOZIER
Al processo in corso, la vedova Eleonora fece la prima apparizione pubblica per una deposizione, nel giorno in cui Sandro Pertini aveva ospiti al Quirinale i campioni del mondo. Li aveva riaccompagnati in Italia a bordo del suo aereo, giocando a scopone con Zoff, Causio e il c.t. Bearzot. Eravamo distratti dalla Coppa del mondo, mentre Eleonora Moro «invecchiata ma sorretta da una grande, grandissima, dignità» (l'Unità), confermò che il capo della scorta aveva trasmesso ai superiori la segnalazione con la targa di un'auto che li seguiva da tempo. Disse che gli agenti non erano addestrati, per questo avevano i mitra nel portabagagli, e dell'offerta di una macchina blindata da parte di Andreotti lei non sapeva niente, ne aveva letto sui giornali. Accennò in modo amaro che le era parso «esemplare del carattere e del modo di fare di Andreotti. Molte volte i magistrati sono venuti a chiederci cose. Noi rispondevamo. Loro non verbalizzavano». Le diedero delle lettere inedite. Ne fu stupita. Aggiunse che scorrerle sarebbe stato «superiore alla mia resistenza nervosa». Non guardò mai verso le gabbie dove erano prigionieri gli assassini di suo marito.
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pallone e politica Di altri brigatisti si occupavano le cronache in quelle stesse settimane. Nel pomeriggio di Italia-Brasile, il 5 luglio, mentre si giocava il primo tempo della partita, il capo del governo Giovanni Spadolini era stato alla Camera per un'audizione drammatica e prudente al tempo stesso.
Nelle sue scarse ammissioni, aveva confermato che per liberare l'assessore regionale campano Ciro Cirillo dal sequestro dei terroristi, un pezzo dello Stato attraverso il Sismi e il Sisde era sceso a patti con la camorra napoletana di Raffaele Cutolo. Che ne parlasse mentre in città avevano ripreso a sparare, tre omicidi in un giorno, rendeva tutto più sordido. Il Pci uscì dall'aula furibondo, per «lo sdegno e l'inammissibile copertura di uno scandaloso affare di rapporti omertosi». Quattro giorni prima, Spadolini era volato a Barcellona per stare un po' con i ragazzi della Nazionale.
Si vantava in quel mese di portare fortuna.
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se li avessimo ammazzati Così, la serie su Dozier pone a chi vuole sentirsela porre la domanda se non ci sia stato un doppio registro: da un lato la liberazione a ogni costo del generale della Nato, con una taglia di due miliardi di lire, e l'indicibile trattativa con la malavita per un assessore locale; dall'altro la linea della fermezza per il presidente della Dc. A parità di sequestratori e di protagonisti in campo, la differenza nell'epilogo sta nel sequestrato.
Giuseppe Gargani, sottosegretario alla Giustizia dell'epoca, si domanda nel documentario come sarebbe stata la scena politica, se Moro fosse tornato, con quella nuova consapevolezza maturata durante la prigionia. Danilo Amore, caposquadra dei Nocs, sulle violenze di Stato dice: «Nella mentalità di un poliziotto, accetti l'idea della morte, non di essere arrestato, e poi con quelle motivazioni, per azioni commesse in nome di un bene superiore». Durante i giorni drammatici di Moro, l'interesse dello Stato trascurò una serie di indizi, comprese le segnalazioni di sedicenti medium.
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Durante i giorni di Dozier, dicono i Nocs per smarcarsi dall'accusa delle torture, «se li avessimo ammazzati tutti, nessuno ci avrebbe detto nulla».
L'Italia dell'estate '82 è quella che col mistero flirta appena può. Roberto Calvi, banchiere dell'Ambrosiano, sparisce e viene trovato cadavere sotto un ponte del Tamigi, mentre la sua segretaria muore dopo aver lasciato un biglietto. Lo sfondo è quello della loggia P2 di Licio Gelli. Ancora tredici mesi e troveremo il Gran Maestro evaso dal carcere di Ginevra. L'Italia dell'estate '82 è quella che vede 400 mila persone in piazza per scioperare contro la decisione della Confindustria di abolire i patti sulla scala mobile. Quando il governo ipotizza di estendere il provvedimento alle aziende statali, il pentapartito vacilla. Lo salva la tripletta di Pablito al Brasile.
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Il vertice per aprire la crisi slitta con i festeggiamenti post partita. Francesco De Gregori ha appena fatto uscire un nuovo disco dal titolo apocalittico: Titanic. Dove tra i molti incubi, Nino non deve aver paura di sbagliare un calcio di rigore.
È quasi un'estate da Garage Olimpo, il film di Marco Bechis sui metodi della dittatura argentina, che impastò torture e misteri alla gioia del Mundial anno 1978. «Per il nostro lavoro» spiega Azzolini, «avevamo un'idea chiara di racconto, con l'incognita ovviamente di quali sarebbero state le risposte dei protagonisti della vicenda, su entrambi i fronti. Anche a distanza di 40 anni, non era scontato che avrebbero accettato di parlare di vicende che, per tanti e per ragioni diverse, era meglio lasciare nei cassetti».
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Sfila un pezzo di Stato che ammette il ricorso alla violenza e ammicca alla sua legittimità, in un Paese nel quale tuttora non riesce a passare una legge che preveda la presenza di un numero identificativo sulle divise e sui caschi degli agenti.
Quaranta estati più tardi, la Nazionale di calcio non andrà ai Mondiali, il Paese non ha un governo, la ferocia delle Br è stata sconfitta democraticamente, l'Italia ha dovuto affrontare dolori chiamati Cucchi, Rasman, Aldrovandi, Bolzaneto. «Sto bene» disse Dozier in italiano dopo la liberazione. Il punto è capire come sta l'Italia. Ma dite la verità: quanto eravamo felici.
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