Fulvio Abbate per huffingtonpost.it
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Ragionando di sesso al tempo del coronavirus. Chissà perché, se solo provo a immaginare lo stato complessivo delle cose erotiche attuali, subito trovo lo sguardo problematico di un Dino Buzzati, lo scrittore che al tormento e dall’impellenza delle pulsioni sessuali ha dedicato pagine di speculare e mirabile attenzione perturbante, immagini tutt’altro che banali, nulla cioè a che vedere con la narrazione ordinaria che mostra solitamente il simulacro di un’erezione frustrata, cercando semmai, parlo sempre dell’autore dei “Deserto dei Tartari”, di restituire sia i sospiri dell’attesa sia i luoghi dell’appagamento.
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Il sesso ai giorni del Covid-19, si sappia, mostra qualcosa di spettralmente peculiare proprio a quel mondo espressivo. Se con l’Aids c’era modo di circoscrivere i margini del contagio, perfino con un semplice spot allarmistico che mostrava una sorta di aura violetta intorno al “soggetto a rischio”, nel caso attuale la natura e sostanza “aerea”, impalpabile, onnipresente, fantasmatica, del virus, affermando onnipresenza di se stesso, non ammette disattenzioni, nega perfino la suggestione del tatto, della carezza, della prossimità.
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Banksy, street artist, o forse uno dei suoi epigoni di quartiere, ha perfino mostrato un bacio “cieco” tra mascherine, obliterando in questo modo sia quello di Hayez sia quello di Brancusi. Mettendo ora da parte ogni possibile pratico simposio sui presidi medicali necessari, proviamo a svolgere il tema in modo essenziale. La vicenda privata illustrataci nei giorni scorsi da un conoscente avvilito ci viene incontro come una tavola sinottica del caso.
Racconta questi, che per brevità chiameremo Adamo (“Si pensa soltanto per immagini, se vuoi essere filosofo scrivi romanzi,” annota con pertinenza Albert Camus), di avere finalmente avuto, dopo mesi di attesa, un messaggio incoraggiante da una donna assai “desiderabile”, addirittura, parole sue, “perfetta”, un sogno di imponente bellezza, il luogo stesso, appunto, del desiderio, della desiderabilità, dell’istinto desiderante che si fa realtà.
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Pare che lei lo abbia infine invitato a raggiungerlo, così da concedersi, aggiungendo di abitare subito fuori, metti, la leggendaria Atlantide. Lui ha così subito provato a immaginarsi lì da lei, con lei, meglio, pronto a raggiungerla… Salvo, un istante dopo, ricordarsi del lockdown in atto, con il suo “coprifuoco” perfino sessuale. Impensabile così immaginare il tempo esatto, certo, per questo incontro.
In definitiva Adamo ha convinto se stesso a non andare, l’appuntamento è così rimandato, l’amore, il sesso, il compimento del desiderio in questo caso non avranno luogo, sono rimandati a data da destinarsi. Se è consentita una citazione molta colta, questa circostanza sembra simmetricamente restituire il concetto del “Grande vetro” di Marcel Duchamp, maestro del dadaismo, forse l’opera eroticamente più misteriosofica che le avanguardie ci abbiano mai consegnato: i cosiddetti “celibi” resteranno sempre al di qua del diaframma che li separa dalla “sposa”, persi in un moto circolare che non contempla di raggiungere il perimetro superiore dell’opera dove ha sede il simulacro del compimento dell’atto. In questo caso, nessuna metafisica, semplicemente il timore, ombra, sentore del contagio.
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A volerla però raccontare in modo più spiccio, provate invece a ricordare Vittorio Gassman ne “L’armata Brancaleone”, così quando, cavaliere da Norcia, si imbatte nella donna rimasta vedova a causa della peste interpretata dalla desiderabile Maria Grazia Buccella, il loro dialogo: Vedova: No! Su quel letto no! Brancaleone: “Lo perché? Dammiti prendimi cuccuricù” V.: “Vi morì lo meo marito.” B.: “Ulla, quando?” V.: “Iere.” B.: “Iere? Di che malanno?” V.: “Come di che malanno, dello gran morbo che tutti ci piglia, la peste”. B.: “Aaaaaaahhhh! Viviaviaviaviavia! Aita aiiiitaaaa” (E qui Brancaleone getta per terra la vedova presunta infetta e corre lontano urlando).
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Che restino allora da immaginare unicamente, adesso più che mai, i colloqui notturni che hanno luogo in rete, chat su chat, tono supplice, ciò che tecnicamente prende nome di “sexting”? La stringa che implora sesso in attesa di una risposta, sovente affermativa, le bollicine della risposta pronta a giungere. Se solo fosse possibile scostare, nottetempo, le facciate delle case per entrare nelle esistenze private, riuscendo così a mettere lo sguardo dentro gli appartamenti altrui, come ne “La vita istruzioni per l’uso” di Georges Perec, avremmo modo di accorgerci d’ogni colloquio intimo, inarrestabile, il provvidenziale Kleenex a portata di mano per mettere un punto all’atto a distanza, a raccogliere il fiotto finale.
FULVIO ABBATE
Il sesso nel tempo del nostro onnipresente virus racconta l’attesa, mostra la circospezione di chi, nei giorni ancora assenti a virus men che ordinari, proprio come il personaggio sempre di Buzzati di “Un amore”, s’affaccia davanti ai locali dove solitamente era possibile ottenere un massaggio con “happy and” o, che dir si voglia, “romantico”, adesso illuminati dal proprio vuoto, visti al di qua delle vetrine, case del piccolo piacere adesso spettrali quasi come il più celebre quadro di Edward Hopper.
E che noia le battute e i meme che suggeriscono il ricorso alla vecchia “pecorina“, affinché i sospiri dell’uno non incontrino la bocca dell’altro, che noia perfino il racconto della prostituzione oltreconfine, o del ricorso al “sesso solitario”, che subito chiama in causa i canti goliardici dove qualcuno “snuda il banano” con “agile mano”, o piuttosto delle orge segrete liberatorie di cui si favoleggia, a dispetto del virus, come l’ultima notte dei nazisti nel bunker della Cancelleria.
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Un mondo in attesa, se mai torneranno a fiorire le rose e Adamo potrà quindi finalmente recarsi all’appuntamento agognato.
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