Stefano Pistolini per Il Venerdì - la Repubblica
La storia di un uomo che si è sempre piaciuto moltissimo. Robbie Robertson è un decano del rock. A 73 anni pubblica Testimony (Crown), autobiografia da zero a 33, e dentro ci sono abbastanza storie da spingere qualsiasi fan d' una certa età a leccarsi i baffi. Difficile non pensare a un discreto caso di mitopoiesi, ma in fondo, ora che quei tempi s' allontanano, non è proprio di ciò che si nutrono gli appassionati?
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Suoni, leggende, divinità dell' arte, del sesso e degli eccessi. Robertson, nella sua versione dei fatti, si colloca al centro della saga, attento ad attribuirsi molti meriti. Ma del resto non è che gli mancassero il physique du rôle e le capacità per primeggiare. Dunque, tanto di cappello a un ragazzo venuto al mondo in una famiglia espertissima in persecuzioni, con madre indiana Mohawk e padre giocatore di poker ebreo. Dopo una formazione degna di Mark Twain, Robbie comincia la sua marcia verso la terra sacra del rock' n'roll.
Muove i primi passi come membro degli Hawks che accompagnavano il veterano Ronnie Hawkins, ma presto si fa notare per la presenza carismatica e viene chiamato a far parte del gruppo che deve sostenere la conversione elettrica di Bob Dylan. Qui le versioni divergono, tra ciò che racconta lui e quel che ha scritto Levon Helm, suo batterista, compare e, col trascorrere degli anni, sua nemesi: chi fu a pronunciare la frase O ci prendete tutti o niente?
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A chiunque s' attribuisca questo eccesso di altruismo, la scommessa comunque funzionò, gli Hawks presero il nome di The Band e divennero il gruppo di Dylan, entrando nella scena dalla porta principale. Sui "good times", Robertson è prodigo di ricordi: i flirt Carly Simon ed Edie Sedgwick, le notti al Chelsea Hotel, le frequentazioni con David Geffen, Joni Mitchell, Salvador Dalí e Andy Warhol, il trasferimento al sole perenne della California, dove le droghe erano a portata di mano.
Soprattutto l' amicizia con Dylan, che ne fa il suo confidente, ai tempi del tour nel Regno Unito, durante la convalescenza dall' incidente di moto e, più tardi, nell' estate a Woodstock, dove incisero quei Basement Tapes oggi considerati un bastione della musica americana. E ci sono anche i due magnifici dischi con la Band, Music from Big Pink e The Band, monumenti del rock Usa inteso come prodotto di un' esperienza popolare e di una eredità culturale.
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Ma è un momento breve, perché gli eccessi hanno la meglio e tutto naufraga tra tossicomanie e litigi sui quattrini. Il canto del cigno è L' ultimo valzer, il film che il giovane Martin Scorsese gira al concerto di commiato della Band, facendo brillare la figura di Robbie più degli altri. L' autobiografia si ferma qui: Robertson è ancora giovane, è un divo e davanti ha una carriera che amministrerà con saggezza.
Curiosamente però i suoi amici famosi lo lasceranno indietro, perfino Dylan, che gli farà lo sgarbo di non invitarlo al concerto del '92 al Madison, per i suoi 30 anni di carriera. Lui ha incassato bene e ora stende il ramoscello d' ulivo verso tutti. Erano tempi folli e autodistruggersi era la regola. Perciò chi è sopravvissuto si occupi di rendere l' affresco più armonico. In fondo, chi avrebbe mai pensato di spassarsela in questo modo, per oltre mezzo secolo?
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