Andrea Rossi per “la Stampa”
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Le rivoluzioni partiranno dalle città», spiegava ieri a Torino il sindaco di Milano Giuseppe Sala firmando con la collega Chiara Appendino un manifesto contro il linguaggio violento in rete. Nelle città, in questi giorni, si sta verificando anche un altro fenomeno: l' esplosione del malcontento degli amministratori locali del Pd verso un partito centralista e un' alleanza che i territori non riescono a digerire.
È presto per rievocare il partito dei sindaci stile anni 90, ma è un fatto che a Milano domenica un gruppo di amministratori locali del Nord si sia ritrovato e, davanti alla ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli, inviata da Nicola Zingaretti, Sala abbia - in un clima quasi da stadio - rivolto una critica feroce all' attuale vertice del partito. E al suo stare dentro il governo Conte:
«Non è che stiamo disegnando un futuro florido con questo atteggiamento da competenti e responsabili», è il ragionamento del sindaco di Milano. «Serve coraggio: perché non si fa lo ius culturae e si aboliscono i decreti Salvini? A me fa paura un Pd che subisce Renzi e Di Maio perché altrimenti cade il governo».
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Sala non aspira a guidare il partito, lo ripete a ogni occasione. Il suo baricentro è solidamente piantato a Milano: «Tra un anno mi guarderò dentro e se sarò nelle condizioni psico-fisiche per continuare questo impegno mi ricandiderò a sindaco». Eppure non è un mistero che a lui guardi una fetta sempre più consistente del Pd non romano, quello che si sente a rischio estinzione, che vinceva sui territori anche quando a Roma era opposizione ma oggi viene travolto anche nelle sue storiche roccaforti. In questo scenario da fine dell' impero Sala ha le stimmate del vincente: Milano è l' unica città in cui il Movimento 5 Stelle non ha mai attecchito e dove Salvini fatica a sfondare.
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Inevitabile che intorno a Sala si stia radunando il partito dei sindaci: «Quando è nato il governo ci siamo detti che era un bellissimo esercizio di correnti. I territori lo stanno urlando: qui c' è tanta politica di qualità, amministratori che hanno fatto esperienza vera e forse sono più titolati a dire quali bisogni esprime il Paese».
La sua è una critica feroce alla ragion d' essere del Pd: «Indugia nel sentirsi il partito della competenza; purtroppo la gente non lo pensa». E all' assetto: «Zingaretti vuole aprire a nuove esperienze. Basta che non sia una finta, perché aprire significa prima di tutto mettere in discussione la leadership, chiedersi se è in grado di rappresentare il futuro o se c' è bisogno di aria fresca».
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Si schermisce Sala, se gli danno del rottamatore. Ma, nei fatti, chiede molto di più: «Non mi appassionerò mai a una discussione sul nome o lo statuto, mi appassiono se mi dicono che il prossimo anno il 40% dei vertici saranno nuovi.
Bisogna però ragionare a fondo: se si vuole aprire a forze nuove ma si ha un debito con chi ha dato il sangue per il partito e dovrà continuare a vivere nel partito i conti non tornano. Se alle elezioni bisogna prima garantire il posto a queste persone non funziona».
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