Estratto dell’articolo di Valerio Valentini per “il Foglio”
giancarlo giorgetti alla cerimonia di avvicendamento dei vertici della guardia di finanza
Le ultime resistenze le ha tentate mercoledì, prima di partire. Ma pure quelle già fiacche, come di chi sa che tutto sarà vano. E insomma alla fine Giancarlo Giorgetti ha ceduto. Comme d’habitude, si dirà, per uno abituato a impuntarsi fino al momento prima di battersi davvero. Ma stavolta, nel dire “fate un po’ come vi pare, se c’è da firmare firmerò” prima d’imbarcarsi per il Giappone, insomma in questa sbracata zuffa sovranista sulla Guardia di Finanza, stavolta sembra che davvero qualcosa si sia rotto, nel rapporto tra il ministro dell’Economia e Giorgia Meloni.
GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI
“Perché se vuoi rendertelo ostile, uno come Giancarlo, devi fargli fare una figuraccia”, dice chi s’è confrontato con lui. E la figuraccia […] Giorgetti è convinto di averla già fatta. Nel senso che il solo essere passato alla storia […] come il primo ministro dell’Economia che, almeno formalmente, non è riuscito a provvedere alla sostituzione del capo della Guardia di Finanza nei tempi stabiliti, lo ha reso furente. L’aver dovuto subire una scelta che non condivideva, poi, ha fatto il resto.
andrea de gennaro
E non perché ci sia dell’astio personale […] verso quell’Andrea De Gennaro che a Palazzo Chigi è stato ritenuto, fin dall’inizio, il candidato più accreditato per la successione a Giuseppe Zafarana. […]. C’è, anzitutto, uno spazio d’azione che Giorgetti, confortato dal dettato della legge, rivendicava come proprio.
Per questo alla nuova stagione delle Fiamme gialle stava lavorando da tempo, sapendo che la transizione non sarebbe stata indolore. E dunque l’impegno per garantire una buona uscita a Zafarana, finito non a caso alla presidenza dell’Eni; e dunque una lista, che lo stesso generale in uscita aveva stilato per il ministro, coi nomi dei vertici più titolati per ricevere il suo testimone a Viale XXI Aprile, con una sottolineatura sul profilo di Umberto Sirico che non a caso il ministro aveva voluto ricevere.
meloni mantovano
La riteneva una sua prerogativa, Giorgetti, dopo avere già dovuto dissimulare non poco l’insofferenza per la scarsa condivisione con cui Meloni aveva gestito la partita delle grandi partecipate. E non basta. Perché, a quanto pare, se Giorgetti si era astenuto dai giudizi, a esprimere dubbi su De Gennaro era stato direttamente Matteo Salvini.
Per motivi difficili da sondare, ma in qualche modo legati alla convinzione, abbastanza diffusa a Via Bellerio, che intorno alla figura di Alfredo Mantovano, sottosegretario solerte e discreto alla Presidenza del Consiglio, si vadano accentrando un potere eccessivo, che la scelta di De Gennaro, molto stimato dal magistrato pugliese, avrebbe ulteriormente rafforzato.
generale umberto sirico
Tanto più, e qui nella Lega abbassano sempre la voce nel dirlo, che ovviamente questa nomina si porta dietro l’ombra dell’altro De Gennaro, cioè Gianni, già capo della Polizia e del Dis, già sottosegretario alla Presidenza con delega ai servizi e presidente di Leonardo, […] pure lui vicino a Mantovano.
E insomma è per tutti questi motivi che, pare, Giorgetti avrebbe tentato la via della diplomazia con Meloni. […] “Per cui, ecco, tu e Matteo confrontatevi, su questo”. E la premier avrebbe risposto che sì, certo, capiva, e che ne avrebbe discusso coi suoi consiglieri. Salvo poi arrivare in Cdm, giovedì scorso, con quello stesso nome: Andrea De Gennaro.
E qui, ovvio, vanno illuminate anche le ragioni dei Fratelli d’Italia. Quelle un poco pretestuose, esposte da chi ricorda che all’epoca della formazione del governo fu Salvini […] a dire che Giorgetti era da considerare “un ministro tecnico”, per cui “i ministri dell’Economia tecnici sulle nomine rispondono alla premier”. E quelle più di sostanza: ché non s’è “mai visto un premier che deve chiedere permesso al suo ministro dell’Economia, per scegliere il capo della Finanza”, e che i rapporti di forza sono chiari, e da quelli discende il resto.
salvini giorgetti
Per cui, in una congiuntura che ha visto Salvini, d’intesa con Matteo Piantedosi, portare a casa il capo della Polizia, con la promozione di quel Vittorio Pisani che col capo del Carroccio è da tempo in sintonia, e nella prospettiva di un successo leghista sulle nomine di competenza del Mit legate a Rfi e dintorni, “pretendere pure la Finanza era un po’ troppo”. Ed ecco allora l’impuntatura patriottica […]. […]
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