Estratto dell’articolo di Stefano Cappellini per "la Repubblica"
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Nessun rivale tiene testa a Temptation Island, reality di Canale 5 condotto da Filippo Bisciglia col piglio anonimo e solerte del concierge di un tre stelle a Cattolica, nulla di più familiare e rassicurante, che ha appena chiuso la nuova stagione con ascolti record e ormai l’aura del classico televisivo.
Pur di evitare lo scontro in palinsesto, la Rai ha spostato a fine agosto il nuovo programma di Alberto Angela, Cicerone del viaggio nella cultura inattrezzato ad arginare gli ascolti di Bisciglia, Cicerone del viaggio nei sentimenti.
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Temptation, come lo chiamano i fan sui social spesso storpiandone la dizione, è uno dei pianeti della galassia narrativa di Maria De Filippi, demiurga che ci piace immaginare mentre segue il programma dall’alto, da una finta luna-studio di regia, come nella Burbank del Truman Show, che in questo caso è l’Is Morus Relais di Pula in Sardegna.
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La luna e i falò, falò di confronto ovviamente, che nella costituzione materiale di Temptation rappresenta il momento decisivo nel quale le coppie partecipanti si scannano e decidono il da farsi.
Succede che all’inizio del programma il fidanzato viene spedito in un villaggio e la fidanzata in un altro, entrambi popolati di single pronti a blandire e corteggiare gli uni e le altre. Gli uomini si sottopongono alla prova di tentatrici che si chiamano Maika, Siriana, Nicole e le donne a quella di tentatori che, se si chiamano Carlo o Mario, suppliscono alla banalità onomastica con la potenza del quadricipite e la densità dei tatuaggi.
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Da lì in avanti ne succedono di ogni, come diceva Minetti, anche lei Nicole.
Meno neorealistico di Uomini e donne, ma più cinematografico, Temptation è da anni un formidabile affaccio sul Paese reale. […] flirt, ammiccamenti, carezze proibite avvinghiano milioni di spettatori al video risparmiando loro la fatica di aguzzare l’udito per captare i pettegolezzi dall’ombrellone dei vicini.
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Dicono gli scandalizzati: abbrutimento, trogloditismo. Sarà, ma forse Cesare Zavattini non sarebbe tanto d’accordo e il pedinamento del reale non è mai stato così scientifico in tv.
Dicono quelli che la sanno lunga: tutto finto, tutto recitato. Macché, tutto verissimo, a cominciare dalle labbra extra large, gli zigomi smaltati, gli abiti da sera fucsia e arancioni, tutte prerogative ormai unisex, ma niente in confronto al trionfo della filosofia se-stessista («Sono qui per capire chi è il vero me») e al crogiolo di vittimismo, bullismo, paraculismo e auto sopravvalutazione che i partecipanti dispiegano generosamente nella speranza di tramutarli in una carriera da influencer o, al meno, in qualche adv di creme su Instagram e un paio di cene a scrocco in un ristorante da cento euro a coperto.
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Echeggia nelle traversie amorose delle coppie il lessico familiare di tre generazioni e qualche milionata di italiani, il frasario da romanzi Harmony e fotoromanzi Lancio […] il dongiovannismo […] gli involontari sketch da cinepanettone […] C’è la traccia classista dei musicarelli anni Sessanta […]
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