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    TAJ MAHAL O MAIAL? - IL MAUSOLEO INDIANO E’ SPORCHISSIMO: STA DIVENTANDO GIALLO PER COLPA DI INQUINAMENTO ED ESCREMENTI DI INSETTI - LA CORTE SUPREMA DETTA LA LINEA: “VA RISTRUTTURATO O DISTRUTTO” - COSTRUITO NEL 1632 DAL GRAN MOGHUL ALLA MEMORIA DELLA MOGLIE DECEDUTA PER DARE ALLA LUCE IL 14ESIMO FIGLIO, ATTIRA OGNI GIORNO 70MILA VISITATORI


     
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    Giordano Tedoldi per “Libero Quotidiano”

     

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    L' Occidente ha i suoi problemi, compreso l' inquinamento, ma niente a che vedere con l' India, che si trova all' ottavo posto tra i Paesi con il maggiore inquinamento urbano. Un piazzamento per niente invidiabile che sta minacciando uno dei luoghi di maggiore attrazione turistica, patrimonio dell' umanità Unesco, nonché pietra miliare dell' architettura musulmana: il Taj Mahal.

     

    Mausoleo costruito nel 1632 dal Gran Moghul (il titolo imperiale indiano) Sha Jahan alla memoria della moglie favorita Mumtaz Mahal, eroicamente deceduta nel dare alla luce un quattordicesimo figlio, è un edificio di sogno fatto di marmo bianco, con svariate pietre preziose per le decorazioni.

     

    E proprio al candore del marmo si deve gran parte della sua solenne bellezza, quell' immagine di sfarzo e insieme purezza che a noi occidentali può ricordare certe nostre grandi basiliche.

     

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    Ma da un po' di tempo l' imponente monumento si è ammalato, è ingiallito come un sofferente di fegato. Colpa dell' aria pestilenziale di Agra, la città dell' India settentrionale dove sorge. Gli effluvi inquinati che ne sferzano le cupole, i minareti, le mura, hanno fatto perdere l' originale splendore del marmo, su cui si è depositata una penosa patina tra il giallo e il verdolino.

     

    Ubicato vicino a un fiume sul quale ogni giorno scorrono isolotti di spazzatura, e spesso avvolto dal diossido di carbonio delle automobili o dai frequenti roghi di rifiuti, per non parlare delle emissioni di fabbriche e concerie, il venerando mausoleo secentesco non poteva che ingrommarsi.

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    E ci si mettono anche gli insetti che proliferano intorno al fiume sempre più inquinato dagli scarichi, i quali depositano, blasfemi, i loro escrementi sul monumento. Per un po' di tempo la ripulitura, o meglio, il tentativo di ripulitura è stato affidato alla buona volontà degli attivisti, che con olio di gomito si sono messi a spazzolare il bacino della fontana antistante il Taj Mahal, mentre dei restauratori hanno applicato speciali argille ai marmi, che assorbono le impurità e poi vengono lavate via.

     

    LE ACCUSE

    Ma la situazione è rimasta critica, e la scorsa settimana la Suprema Corte indiana, attraverso una sua commissione composta di due membri, ha duramente attaccato il governo, dichiarando che ormai, per colpa del suo lassismo, la preservazione del Taj Mahal è «una causa persa».

     

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    Una reprimenda che segue quella lanciata dalla stessa corte, all' inizio dell' anno, contro l' Asi, Archeological Survey of India, il dipartimento governativo che dovrebbe tutelare i beni archeologici. I giudici hanno anche commissionato uno studio per conoscere esattamente le cause dell'ingiallimento del Taj Mahal, e che dovrebbe fornire i risultati entro quattro mesi. In particolare, però, ha fatto scalpore una parte specifica, estremamente drastica, della dichiarazione dei due giudici della cassazione indiana, che, manifestando un' intransigenza del tutto eccezionale secondo le pratiche del Paese asiatico, hanno dato al governo tre possibilità d' azione: «O chiudiamo il Taj, o lo demolite oppure lo restaurate».

     

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    È come se la Cassazione italiana avesse detto al governo: o ripulite il Colosseo oppure lo demolite. Un aut aut tragicomico che, almeno questo, ci è stato risparmiato, dato che il restauro della facciata esterna del Colosseo è stata completato due anni fa, e le uniche polemiche riguardarono il fatto che l' intervento conservativo venne reso possibile dal finanziamento di un noto imprenditore calzaturiero, cioè da un privato, e quindi, secondo una certa visione demenzialmente ideologica e sommamente ignorante di storia dell' arte, uno che mirava a «mettere le mani» sul millenario anfiteatro, che invece è tornato al suo antico splendore. In India, invece, incredibilmente, sono ancora più temporeggiatori e irresoluti che a Roma, in queste faccende.

     

    FIGURACCIA

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    E se non ci fosse stato lo scatto di reni della Suprema Corte, che senz' altro puntava, riuscendoci benissimo, a esporre il governo a una figuraccia planetaria, forse davvero prima o poi il Taj Mahal sarebbe diventato una specie di colossale deposito di guano. Cosa che, beninteso, poteva pure risultare redditizia, visto il gusto del turista globale medio, che si fa migliaia di chilometri per visitare presunti capolavori dell' architettura contemporanea, o installazioni che non hanno bisogno di inquinamento o escrementi d' insetti per invocarne la demolizione.

     

    Adesso, dopo la severa bacchettata dei giudici, si riparte con le migliori intenzioni: la Corte annuncia che dal 31 luglio il Taj Mahal, che attira ogni giorno 70mila visitatori, verrà sottoposto a sorveglianza quotidiana. E nel frattempo si attendono i risultati dello studio commissionato all' Indian Institute of Technology. Poi toccherà al governo muoversi, sperabilmente per pulire, non demolire.

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