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    “LE REGOLE DI INGAGGIO IN LIBANO DEVONO ESSERE CAMBIATE. A VOLTE, PER EVITARE UNA GUERRA, È NECESSARIO USARE LA FORZA” – PARLA IL TENENTE COLONNELLO GIANFRANCO PAGLIA AL VILLAGGIO ITALIA DI PEC, AVAMPOSTO DELLA MISSIONE NATO “KFOR” IN KOSOVO: “QUANDO NEL 2004 VENNERO AGGREDITI I SITI SERBI I SOLDATI ITALIANI FURONO IN GRADO DI REAGIRE. IN LIBANO INVECE NON È POSSIBILE” – IL COLONNELLO ROCCO MUNDO: “IL NOSTRO INGAGGIO PREVEDE LA POSSIBILITÀ DI RISPONDERE CON IL FUOCO AD UN ATTACCO, PERCHÉ..."


     
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    Estratto dell’articolo di Grazia Longo per "la Stampa"

    un lince della missione kfor a camp villaggio italia un lince della missione kfor a camp villaggio italia

     

    Al Villaggio Italia di Pec, avamposto della missione Nato Kfor, nata 25 anni fa per monitorare l'area calda dei Balcani, non c'è più nessuno di quelli che nel 2004 reagirono con le armi all'attacco degli estremisti albanesi kosovari contro i serbi. Ma il drammatico episodio è impresso nella memoria di tutti.

     

    "Il modello Kosovo", tanto evocato in queste ore per il Libano, è un manuale di scuola per tutti qui, a partire dal comandante, il colonnello Rocco Mundo, che ieri ha accolto il tenente colonnello Gianfranco Paglia, medaglia d'oro al valor militare e consigliere del ministro della Difesa Guido Crosetto, […]

     

    tenente colonnello gianfranco paglia in kosovo tenente colonnello gianfranco paglia in kosovo

    La differenza sta tutta nelle parole di Mundo: «Il nostro ingaggio, fortunatamente, prevede la possibilità di rispondere con il fuoco ad un attacco, perché a differenza del Libano non siamo una missione di peacekeeping ma di peace-enforcing. E questo ci permise di rispondere con le armi nel 2004. I soldati italiani ebbero cioè la possibilità concreta di aiutare la popolazione in un momento di enorme vulnerabilità». […]

     

    Le regole d'ingaggio fanno la differenza, insiste il tenente colonnello Paglia: «Quando nel 2004 vennero aggrediti i siti serbi i soldati italiani furono in grado di reagire senza alcun problema. Era presente la Folgore e li difese con le armi con grande coraggio. In Libano invece non è possibile. Lì, addirittura, se i nostri militari fermano un camion perché sospettano che sia carico di armi devono chiamare l'esercito libanese. C'è minore libertà, perché questo prevede il peacekeeping». […]

     

    soldato della missione kfor a camp villaggio italia soldato della missione kfor a camp villaggio italia

    «Per questo il nostro intervento armato fu prezioso – continua Paglia –. In Libano oggi non sarebbe possibile. Il ministro Crosetto lo ripete da un anno alle Nazioni Unite, nel tentativo di far cambiare le regole di ingaggio in Libano. Ma purtroppo non è stato ancora ascoltato. Eppure noi che lavoriamo sul campo sappiamo bene che la risoluzione Onu deve essere cambiata. Le Nazioni Unite dovrebbero fare tesoro delle esperienze passate, come in Somalia e in Bosnia.

     

    In Bosnia gli uomini delle Nazioni Unite venivano usati come barriere umane, non avevano l'opportunità di difendersi. Bisogna capire che a volte, per evitare una guerra, è anche necessario usare la forza. Lo insegna la storia. Tutto questo ha un prezzo e serve il coraggio di pagare quel prezzo».

    la missione kfor a camp villaggio italia la missione kfor a camp villaggio italia

     

    Secondo il tenente colonnello «il governo italiano sta facendo tantissimo, non si è fatto mettere i piedi in testa. Francia, Spagna e Usa sono venuti dopo. Il primo a dirlo è stato Crosetto con il ministro Tajani. La presenza dei nostri militari in Kosovo è fondamentale, il Kosovo è una pentola a pressione».

     

    la missione kfor la missione kfor

    […] Quindi ripete ancora quanto aveva già dichiarato in mattinata ai cronisti, all'aeroporto militare di Napoli, prima di partire a bordo di un un C27-J Sparta. «Il Kosovo è tranquillo perché ci siamo noi. La pace in questi territori è legata anche a chi guida la missione. Ieri (l'altro ieri per chi legge, ndr) la missione Kfor è passata a guida italiana con l'arrivo del generale Enrico Barduani. In Libano invece, il comandante è spagnolo e non parla con gli israeliani. Se fosse stato italiano non avremmo avuto il problema di essere attaccati».

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