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    IL TESORO DI CARMINATI - IL 'NERO' PARLA DELLA RAPINA AL CAVEAU DEL TRIBUNALE DI ROMA, E AL PROCESSO SI PARLA DI OPERE D'ARTE PER OLTRE 10 MILIONI: ''C'ERANO MOLTI DOCUMENTI, MA HO PRESO PURE QUALCHE SOLDO. È OVVIO DA DOVE PROVENGA LA MIA DISPONIBILITÀ ECONOMICA, SOLO I CARABINIERI FANNO FINTA DI NON SAPERLO'' - ALLA SBARRA DUE UFFICIALI DELL'ARMA: GLI AVVOCATI VOGLIONO DIMOSTRARE CHE NON C'È L'AGGRAVANTE MAFIOSA


     
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    1. CARMINATI E I SOLDI DA INVESTIRE «RUBATI NEL CAVEAU DEL TRIBUNALE»

    Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera

    MASSIMO CARMINATI E FABRIZIO FRANCO TESTA MASSIMO CARMINATI E FABRIZIO FRANCO TESTA

     

    La stessa domanda viene proposta in due versioni differenti, dalle difese di Massimo Carminati e di Salvatore Buzzi. «Lei ha mai verificato ipotesi di associazione mafiosa legata ai reati legati alla gestione degli appalti?», chiede l' avvocato Ippolita Naso, per conto del primo. «No», risponde il carabiniere dal banco dei testimoni.

     

    Dalla platea si alza un brusio di soddisfazione. Un legale commenta ad alta voce: «Questo fa il paio con Cantone», ricordando che il presidente dell' Autorità anticorruzione aveva fatto una analoga affermazione illustrando l' esito delle sue ispezioni. S' accende una zuffa verbale con i pubblici ministeri, mentre un imputato protesta dalla gabbia: « So' du' anni che stamo qua », finché, tornata la calma, la parola passa all' avvocato Alessandro Diddi. «Le risulta che Buzzi abbia mai fatto intimidazioni o minacciato il ricorso ad atti di violenza?». «No», afferma il carabiniere. «E lei l' ha mai denunciato per associazione mafiosa?».«No». «Non ho altre domande».

     

    arresto carminati arresto carminati

    Al processo sul «Mondo di mezzo» governato dall' ex estremista nero e dal capo delle cooperative rosse accusati di essere rispettivamente il capo e l' anima imprenditoriale di Mafia Capitale, gli imputati continuano a perseguire il loro obiettivo: dimostrare che nel malaffare infiltratosi nell' amministrazione di Roma non c' era nulla che potesse assomigliare alle organizzazioni criminali che intimidiscono e condizionano il potere politico e amministrativo in altre parti d' Italia. Niente mafia né metodo mafioso, ma semplice corruzione o pratiche simili.

     

    Dopo oltre un anno di dibattimento provano a mettere gli uni contro gli altri gli stessi carabinieri del Ros che hanno condotto le indagini.

     

    MASSIMO CARMINATI MASSIMO CARMINATI

    Ieri è toccato al maggiore Francesco De Lellis, che guidava il 2° reparto investigativo dell' Arma, competente per i reati economici. Il quale, a differenza dei colleghi del reparto anticrimine, non ha ipotizzato l' associazione mafiosa perché - spiega - si è limitato a cercare riscontri a quanto emergeva dalle intercettazioni di Buzzi sul versante della gestione degli appalti.

     

    L' avvocato Naso lamenta che gli investigatori si rimpallano la responsabilità degli accertamenti senza che si riesca mai a scoprire chi ha fatto che cosa, e quando chiede come mai, nell' informativa finale da lui stesso sottoscritta non ci sia alcun riferimento alla mafia, il maggiore replica che non spettava a lui dare la veste giuridica ai reati. Il difensore di Carminati insiste, ma il presidente del tribunale la blocca: «Non mi sembra una questione di grande rilievo».

     

    In precedenza un altro carabiniere ex appartenente al Ros, Massimiliano Macilenti, aveva illustrato l' origine dell' inchiesta, cominciata controllando altri ex appartenenti all' eversione di destra sospettati di organizzare rapine. Forse in contatto con Carminati.

    MASSIMO CARMINATI MASSIMO CARMINATI

    Non ne venne fuori nulla, ma poi una fonte confidenziale indicò lo stesso Carminati come terminale di un ipotetico riciclaggio. Dopodiché il colonnello cambiò incarico e altri investigatori dell' Arma ipotizzarono l' associazione mafiosa.

     

    Per l' avvocato Bruno Naso è la dimostrazione di un accanimento da parte dei carabinieri, che hanno avviato indagini a tappeto sul suo assistito senza che ce ne fossero i presupposti. Un' opinione utile a contestare la fondatezza dell' accusa di mafia a cui si è arrivati - sostiene il difensore - attraverso forzature a accertamenti privi di presupposti.

    Naturalmente la Procura è di tutt' altro avviso, l' origine dell' indagine non conta, così come l' opinione degli investigatori sulla qualificazione giuridica dei reati. L' importante è ciò che è emerso dalle intercettazioni e dai riscontri, poi valuteranno i giudici se c' era il metodo mafioso oppure no.

     

    Il maggiore De Lellis spiega che gli accertamenti su Carminati derivavano pure dal fatto che parlava al telefono di investimenti senza avere redditi ufficiali; di qui il sospetto che la disponibilità economica derivasse da altre attività criminali in corso, visto il suo passato di bandito. Ma a fine deposizione è lo stesso imputato a intervenire. Citando il furto al caveau del tribunale di Roma, intorno al quale si favoleggia dal 1999. Ora Carminati ammette: «Lì c' erano molti documenti, forse, però tra un documento e l' altro ho preso pure qualche soldo. È ovvio da dove provenga la mia disponibilità economica, solo i carabinieri fanno finta di non saperlo...».

    CARMINATI ARRESTO CARMINATI ARRESTO

     

     

    2. CAPOLAVORI E OPERE FALSE ECCO IL TESORO DEL NERO “VALE DIECI MILIONI”

    Francesco Salvatore per la Repubblica - Roma

     

    Vale “oltre 10 milioni di euro” la pinacoteca di Massimo Carminati. È questa la stima fatta dai carabinieri per la Tutela dei beni culturali delle 97 opere sequestrate nella villa di Massimo Carminati a Sacrofano, e in una proprietà di Agostino Gaglianone, altro indagato dell’inchiesta Mafia Capitale, anche lui residente nel paese a nord di Roma. Il valore, però, basato su una perizia fornita dalla consulente della procura Isabella Quattrocchi, che si è limitata alla verifica dell’autenticità, comprende sia le opere autentiche, 66, che le 29 false.

     

    CARMINATI ARRESTO 2 CARMINATI ARRESTO 2

    «È di 4,8 milioni di euro la cifra attribuita alle opere autentiche in possesso di Carminati», ha chiosato nell’aula bunker di Rebibbia il maresciallo Andrea Dentale, del nucleo Tutela dei carabinieri, su domanda del pm Luca Tescaroli. Un milione di più, invece, 5,8 milioni di euro, è quanto sono state stimate le tele e le sculture fasulle rinvenute in casa del numero uno di Mafia Capitale. Come a dire: nel caso Carminati fosse riuscito a piazzare pezzi falsi della sua pinacoteca domestica, queste opere, se teoricamente spacciate per vere, avrebbero potuto avere quel valore.

     

    Oltre 10 milioni di euro totali, dunque. D’altra parte è stato lo stesso Carminati a ricordare ieri in aula, in un intervento finalizzato a sconfessare l’ipotesi di riciclaggio con cui il Ros dei carabinieri ha dato il via alle indagine sul suo conto, l’origine della sua fortuna: «Tutti girano intorno a questa cosa: è ovvio qual è la mia disponibilità economica dal 2002.

     

    Se c’erano tutti questi dubbi sul fatto che avessi partecipato al furto al caveau (nella banca del tribunale a piazzale Clodio ndr) potevano dirlo prima, così mi assolvevano. E invece sono stato condannato — ha spiegato —. È vero, c’erano molti documenti. Però fra un documento e l’altro ho preso pure qualche soldo. Solo i carabinieri fanno finta di non capire ».

    massimo carminati massimo carminati

     

    Una dichiarazione, quella di Carminati, che potrebbe spiegare quindi come fosse in possesso di 7 opere autentiche di Mimmo Rotella, maestro del decollage morto nel 2006. Opere grafiche e collage che vanno da 80mila, fino a un valore di 150mila euro secondo Quattrocchi. O le sculture lignee attribuite alla star americana Louise Nevelson (1899-1988). Le sue opere vengono stimate 600mila euro l’una: ma bisogna considerare che nel 2006 la sua gigantesca Sky Cathedral fu aggiudicata per 659mila euro a New York. Falsa, invece, la Combustione di Alberto Burri: l’opera è una tecnica mista su cartone telato ed è stimata, se fosse originale, un milione di euro.

     

    Intanto, da ieri, Luca Odevaine ha lasciato i domiciliari. Dopo aver patteggiato 2 anni e 8 mesi di reclusione per corruzione per gli appalti al Cara di Mineo, in Sicilia, il tribunale l’ha rimesso in libertà. Continua, però, ad essere sotto accusa nel maxi processo all’aula bunker di Rebibbia.

     

     

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