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    IL TESORO NASCOSTO DI ROMA: VILLA ALBANI - COSTRUITA A PARTIRE DALLA METÀ DEL XVIII SECOLO E DAL 1866 DENOMINATA VILLA ALBANI TORLONIA, RESTA ANCORA OGGI UNO DEI LUOGHI, DI PROPRIETÀ PRIVATA, MENO ACCESSIBILI DEL MONDO - PER VISITARLA (IL TOUR E’ DI DUE ORE) BISOGNA PRENOTARSI E PAGARE UN “CONTRIBUTO” DI 50 EURO - LE MERAVIGLIE DA AMMIRARE? LE COLLEZIONI AL SUO INTERNO, LO STRAORDINARIO GIARDINO ALL'ITALIANA E LA KAFFEEHAUS CON LA COLLEZIONE DI SCULTURE, DOVE SI CONSERVANO ANCHE I DIPINTI ETRUSCHI DEL IV SECOLO AVANTI CRISTO…


     
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    INDIRIZZO 

    Via Salaria, 92

     

    ORARI 

    Per visitare Villa Albani Torlonia è necessario compilare il modulo di richiesta (vedi link sopra) specificando la lingua parlata e inviarlo tramite email o fax allegando copia di un documento d'identità.

    La Fondazione Torlonia, a seguito dell’accettazione della richiesta, proporrà la prima data disponibile.

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    Le visite, della durata di due ore, sono gratuite e organizzate in gruppi di massimo 15 o 20 persone accompagnate da una guida e comprendono: Villa Albani Torlonia, il giardino all’Italiana e la Kaffeehaus con la collezione di sculture appena restaurata.  

     

    CONTATTI 

    Email: info@fondazionetorlonia.org

    Sito web: www.fondazionetorlonia.org

    Sito web: www.fondazionetorlonia.org/moduli/Fondazione-Torlonia-modulo-di-richiesta-visita-Villa-Albani-Torlonia.pdf

     

    Edoardo Sassi per “La Lettura – Corriere della Sera”

     

    Villa Albani, costruita a Roma a partire dalla metà del XVIII secolo e dal 1866 denominata Villa Albani Torlonia - aggiungendo il nome del casato che in quell'anno acquistò la meravigliosa residenza cardinalizia - resta ancora oggi uno dei luoghi, di proprietà privata, meno accessibili del mondo. Uno scrigno di straordinaria bellezza dove il tempo sembra (quasi) essersi fermato. La luce elettrica vi è stata portata solo in tempi relativamente recenti, e i condizionatori, caldo o freddo che faccia, sono ovviamente banditi.

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    Per visitarla, la Villa, bisogna armarsi di apollinea pazienza. Ma si può: compilando un modulo sul sito della Fondazione Torlonia dove si legge che «la visita è gratuita», ma che al tempo stesso «sono graditi contributi finalizzati a sostenere i progetti di conservazione della Fondazione d'importo minimo individuale di euro 50» (obbligatori).

     

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    Le visite - per le quali «la Fondazione proporrà la prima data disponibile» - durano due ore, sono accompagnate da uno storico dell'arte e comprendono, oltre al Casino Nobile e alle collezioni al suo interno, lo straordinario giardino all'italiana e la Kaffeehaus con la collezione di sculture, dove si conservano anche i dipinti etruschi del IV secolo avanti Cristo provenienti dalla Tomba François, uno dei più famosi ipogei di Vulci, scoperto nel 1857. Le pitture furono distaccate dalla sede originaria nel 1863 dai principi Torlonia, allora proprietari del monumento.

     

    In alternativa alla visita, o in aggiunta a questa, oggi si possono però sfogliare le 379 pagine del volume Villa Albani Torlonia. Architetture, collezioni, giardino che la stessa Fondazione proprietaria dell'edificio ha promosso e che è appena uscito per i tipi di Electa, a cura dell'archeologo Carlo Gasparri. Un libro che segue a distanza di circa un anno quello, esclusivamente fotografico, con immagini di Massimo Listri. Si tratta della prima monografia completa dedicata alla spettacolare residenza e al patrimonio artistico custodito nelle sue stanze, mobilio compreso, prima della quale bisognava risalire alle guide di due secoli fa o a studi specialistici sparsi un po' ovunque e in gran parte in lingua tedesca.

     

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    Per l'occasione sono state riunite penne selezionate tra i massimi studiosi del Settecento. Al curatore, oltre alla prefazione, si deve il saggio I marmi Albani. Senso e storia di una collezione senza pari , con relative schede.

     

    Seguono interventi di Susanna Pasquali, Elisa Debenedetti, Steffi Roettgen, Alberta Campitelli, Antonio Pinelli, Enrico Colle e Roberto Valeriani. Nel loro insieme un'antologia di scritti che documentano, in un quadro aggiornato, questa sublime testimonianza del gusto antiquariale settecentesco, complessa creazione che per molti aspetti anticipa, fissandone alcuni canoni, il movimento del Neoclassicismo.

     

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    La Villa, terminata solo nel 1763, si deve infatti al sogno del cardinale Alessandro Albani (1692-1779), insaziabile e munifico collezionista, mecenate e bibliofilo, il quale ne affidò la realizzazione a Carlo Marchionni. Il progetto nacque nel 1747 per accogliere la straordinaria raccolta di antichità del prelato e il suo compimento fu il frutto del serrato dialogo tra lui, nipote di papa Clemente XI, e alcuni grandi protagonisti del tempo: Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), l'architetto e cartografo Giovanni Battista Nolli (1701-1756) per l'ideazione del giardino, Angelo Strigini per il sistema di fontane che lo adornavano (e in parte ancora lo adornano), ma soprattutto Johann Joachim Winckelmann (1717-1768): bibliotecario, factotum, amico, confidente e suggeritore del cardinale, non solo per quanto riguardò la sistemazione delle collezioni.

     

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    Quello tra Alessandro e il padre dell'archeologia moderna, nonché Commissario delle Antichità romane - nomina ottenuta proprio grazie al suo protettore - è uno dei sodalizi chiave della storia dell'arte. E la sintesi di questa collaborazione è proprio Villa Albani, la «più sbalorditiva» creazione secondo la definizione dello stesso Winckelmann, «la quale supera tutto quello che qui è stato fatto nei tempi moderni, ove si eccettui la basilica di San Pietro».

     

    Il prussiano di Roma , come amava definirsi Johann Joachim - figlio di un calzolaio di Stendal, assassinato a Trieste l'8 giugno 1768 in un delitto a sfondo omosessuale - si considerava egli stesso autore della Villa in quanto spirito guida delle scelte estetiche del suo patrono: «Sembrerebbe quasi che egli costruisse per me - scrive Winckelmann all'amico Gottlob Burchard - che per me egli comperasse le statue antiche: giacché nulla si fa senza la mia approvazione».

     

    Albani, il più importante e vorace collezionista del suo tempo - e per l'archeologo «mio grandissimo protettore e capo di tutti gli esperti d'antichità» - vent' anni prima aveva venduto a papa Clemente XII Corsini la sua originaria collezione di sculture, da cui nasceranno i Musei Capitolini.

     

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    Fama di gaudente, Alessandro aveva in continuazione bisogno di danari, e nel 1762 vendette anche duemila disegni al re Giorgio III per finanziare la dote della figlia della sua amante, la contessa Cheroffini. Successivamente avviò però la formazione di una nuova, straordinaria raccolta di sculture per la quale fece costruire, appositamente, la Villa «fuori Porta Salara».

     

    Villa che diverrà oggetto di entusiastiche descrizioni per tanti viaggiatori del Grand Tour, fino a d'Annunzio - che la citerà ripetutamente nelle pagine del Piacere - e ai tanti contemporanei... È qui che la diade Albani-Winckelmann - giunto a Roma nel novembre 1755 e al servizio del prelato come bibliotecario dal 1758, con tanto di alloggio nel palazzo Albani di città, alle Quattro Fontane, e stipendio di 10 scudi al mese - nonostante un burrascoso rapporto personale («Un attimo prima è tutto fuoco e fiamme - ebbe a scrivere lo studioso in una lettera - e un attimo dopo è già spento.

     

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    Un uomo che calpesta ogni rispetto e subito dopo ti abbraccia, uno al quale anche le parole più offensive non costano niente perché poi le scambia con le più dolci») seppe ricreare la magnificenza di una antica domus romana, facendo della magione il manifesto vivente di Restitutio della città eterna.

     

    Un edificio, Villa Albani, mai destinato ad abitazione, pensato piuttosto per l'otium di una ristretta comunità di eruditi: con una profusione di statue di imperatori e divinità, preziosi marmi antichi, arazzi, stoffe, porte, specchi, mosaici, dipinti e colonne disseminate tra logge, esedre, saloni e ambienti per ricevimenti, descritti fedelmente negli affreschi tra cui quello, celeberrimo, dedicato al tema del Parnaso (1761) e dipinto dall'artista superstar del tempo, Anton Raphael Mengs.

     

    Il tutto immerso nel verde del grande parterre del giardino, tra viali di siepi in bosso, sculture antiche, un tempietto decorato a cariatidi (rinvenute nel 1766 nella villa di Erode Attico) e un altro con la statua di Diana Efesina, un «casino del bigliardo» preceduto da un portico di colonne di marmo greco e una finta rovina, un tempo destinata a voliera, realizzata assemblando frammenti archeologici.

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    Tutti edifici dal marcato gusto neoclassico, legati da quel connubio architettura-arte-natura che ancora oggi si percepisce varcando il portale di accesso, nonostante intorno non vi sia più l'ininterrotta distesa di campagna romana, con lo sguardo che spaziava fino all'orizzonte, sacrificata allo sviluppo edilizio della città moderna a partire dal tardo XIX secolo .

     

    Materiali antichi e creazioni moderne si fondono in questa meraviglia, archetipo della Roma proto-neoclassica di cui Villa Albani è la massima espressione, sopravvissuta quasi intatta. Quasi perché nel 1797, poco dopo la morte del cardinale e prima dell'acquisto da parte dei Torlonia (che comprarono l'edificio dai Castelbarco, eredi Albani, integrando massicciamente le originarie collezioni con dipinti, arredi, altre sculture antiche e opere d'arte), 518 pezzi furono sequestrati dai francesi dopo il Trattato di Tolentino.

     

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    Da Parigi, dove erano stati trasferiti 120 esemplari tra i migliori come bottino di guerra, tornerà nel 1815 solo il magnifico Rilievo di Antinoo , originale in marmo lunense ritrovato a Villa Adriana nel 1735 e integrato nel XVIII secolo dalla mano di Bartolomeo Cavaceppi. Gemma dell'intera collezione, incastonato da un'edicola di marmi policromi e collocato su un camino, il Rilievo è uno dei ritratti più belli del giovane amante dell'imperatore giunto fino a noi.

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