Fabrizio Caccia per il “Corriere della Sera”
COSTA D AVORIO
«Siamo otto italiani, qui a Grand Bassam. Dopo l' attentato, ci siamo telefonati. Stiamo tutti bene, per fortuna, ma adesso siamo barricati nelle nostre case, perché la tv locale dice che ci sono dei terroristi ancora in fuga e abbiamo paura di finire in ostaggio...».
La voce di Alessandro Rabbiosi, delegato dell' organizzazione umanitaria «Terre des Hommes» in Costa d' Avorio, arriva disturbata dal cellulare. La strage nel resort è avvenuta da un paio d' ore, Rabbiosi, però, riesce a mantenere la calma:
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«Eravamo a pranzo in spiaggia con degli amici al "Boblin La Mer" - racconta - quando all' improvviso abbiamo cominciato a sentire le raffiche di kalashnikov e a vedere la gente che scappava: "Stanno sparando all' Etoile du Sud", gridavano correndo.
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L' Etoile du Sud è a circa 200 metri dal "Boblin", dove ci trovavamo noi. Così siamo corsi alle auto, la strada era piena di gente impazzita, mentre stavano già arrivando le camionette delle forze speciali.
C' era un gruppetto di italiani a un tavolino vicino a noi, quattro uomini di mezza età, probabilmente imprenditori, uomini d' affari, li abbiamo sentiti urlare "Smammiamo, smammiamo", poi li abbiamo persi di vista. È la prima volta che succede un fatto del genere in Costa d' Avorio. Questo è un Paese multiconfessionale, ma la convivenza tra cattolici e musulmani finora aveva funzionato benissimo».
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«Io stavo nuotando quando è cominciato tutto - ha raccontato un uomo, Dramane Kima, all' agenzia Reuters -. Gli assalitori erano almeno quattro, ho visto sette corpi di vittime per terra e li ho filmati prima di fuggir via».
Una guida turistica, Bamba Ismael, ha detto al quotidiano online Abidjan.net che stava accompagnando una delegazione americana quando quei terroristi «hanno iniziato il tiro al bersaglio» contro di loro. «Ma per fortuna nessuno è rimasto ferito e gli americani sono stati portati in salvo».
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Gli otto italiani di Grand Bassam sono Rabbiosi, fiorentino, con la moglie Marta e la loro figliola Emer che ha 8 anni; poi c' è Leone De Vita, milanese, della comunità «Abele» di don Ciotti, anche lui in Costa d' Avorio con la famiglia (3 persone); e infine ci sono Anna e Ben, lei milanese e lui ivoriano ma con doppia cittadinanza, che sono i gestori del «Boblin La Mer», dov' era a pranzo il signor Rabbiosi con i suoi amici.
«Però nei weekend arriva tanta gente da Abidjan - continua il delegato di «Terre des Hommes» - perché il nostro mare sta ad appena 40 chilometri dalla capitale e così queste spiagge diventano occasione di svago nel fine settimana.
Sono 400-500 gl' italiani che lavorano ad Abidjan, impegnati perlopiù nell' edilizia, nel legname, nella ristorazione. Ho appena parlato con l' ambasciatore (Alfonso Di Riso, ndr ) so che sta tentando di contattarli uno a uno».
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Rabbiosi, che in Africa sta curando un progetto per salvare 500 bambini, alla fine prova a scherzare un po' per esorcizzare la paura e confortare sua figlia Emer ancora molto turbata: «Qui in Costa d' Avorio siamo un' ora indietro rispetto all' Italia - dice -. I terroristi hanno cominciato a sparare subito dopo che mi era arrivato il messaggino WhatsApp col risultato del primo tempo della mia Fiorentina...».
Poi però ritorna serio all' improvviso: «Rientrare in Italia? No, non ci penso. Il mio lavoro da 13 anni è qui, tra i bambini dell' Africa. Eppoi ormai nemmeno in Europa siamo più al sicuro».