F.Bat. per il "Corriere della Sera"
IL CONVOGLIO DIPLOMATICO CHE HA ATTRAVERSATO IL NORD KIVU DIECI GIORNI PRIMA DELLA MORTE DI ATTANASIO E IACOVACCI
Altro che «strada sicura». Appena dieci giorni prima dell' agguato all' ambasciatore italiano in Congo, Luca Attanasio, qualcun altro era passato di lì: una folta delegazione dell' Onu, il medesimo tragitto sulla Rn2, partenza da Goma e direzione Rutshuru. C'era un diplomatico belga, Axel Kenes, assieme a suoi colleghi estoni, irlandesi e norvegesi di stanza a Kinshasa. La missione nel Nord Kivu per conto del Consiglio di sicurezza era durata tre giorni, dall' 11 al 13 febbraio, facendo sosta anche alla base Monusco, la missione internazionale per la stabilizzazione del Congo.
Ebbene: si scopre adesso che le Nazioni Unite, le stesse che avevano segnalato come sicuro quel tragitto, tanto da non prevedere alcun servizio di scorta per gli italiani, in realtà consideravano tutta l'area ad altissimo rischio. «Si sono sottolineate le enormi sfide nella protezione dei civili, poste soprattutto dai numerosi gruppi armati che agiscono sul territorio», si legge nel rapporto compilato al termine degli incontri, con una valutazione sul rischio di rapimenti: «S'è inoltre affrontata la questione dei sequestri a scopo di riscatto, che sono ora dilaganti nella regione».
LUCA ATTANASIO
La missione Onu sapeva benissimo che quel percorso non era affatto «green», privo di pericoli, e infatti si fece accompagnare da un contingente di caschi blu: le foto di blindati e mitragliere sulle torrette, di scorta alle jeep, sono ancora pubblicate dal sito della Monusco. Sull' uccisione di Attanasio, del carabiniere Iacovacci e del loro autista, ieri a Goma c'è stato un primo incontro tra investigatori congolesi, ma ne è uscito solo un generico appello agli operatori umanitari stranieri perché informino le autorità dei loro spostamenti.
MUSTAPHA MILAMBO - AUTISTA DI LUCA ATTANASIO
In attesa di qualche elemento utile per identificare i killer, l' inchiesta dei pm romani si sta concentrando per ora sulle responsabilità di chi aveva organizzato quel viaggio nella savana, senza adeguate protezioni e senza considerarne tutti i rischi. E poiché il diplomatico italiano si trovava in un convoglio del World Food Program, il programma alimentare dell' Onu che aveva dato semaforo verde, è lì che si vogliono cercare le risposte.
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