1 - TUTTO È BENE QUEL CHE FINISCE MALE
Antonio Padellaro per “il Fatto quotidiano”
Padellaro e Travaglio
Tutto è bene quel che finisce male. Per Mario Draghi, innanzitutto, le cui parole al Senato, ma soprattutto la cui desolata espressione durante tutto il dibattito, confermavano l'irrefrenabile desiderio di non avere più nulla a che fare con una maggioranza di governo diventata una maionese impazzita.
Davanti allo spettacolo andato in scena nell'aula di Palazzo Madama, dei partiti comizianti, l'un contro l'altro armati, sembrava che l'ex premier dicesse: vedete che avevo ragione io ad andarmene senza voltarmi indietro?
Il medesimo sollievo che deve aver provato Giuseppe Conte quando la capogruppo 5Stelle, Maria Castellone, ha pronunciato la frase che da mesi il M5S (o ciò che ne resta) si teneva in gola: togliamo il disturbo. Ma sì, liberi tutti.
Finisce bene, benissimo per Giorgia Meloni, che con la imprevista dissoluzione della legislatura può seriamente sognare Palazzo Chigi, spinta dai turbosondaggi (indescrivibile l'euforia tra i banchi di FdI dei La Russa e Santanchè che già si sentono ministri).
dimissioni di draghi meme by grande flagello
Finisce maluccio per Matteo Salvini, che si è rassegnato a fare lo sgabello di Giorgia premier in cambio di una stanza al Viminale: sempre meglio che lavorare.
Finisce mestamente per Silvio Berlusconi, che ha barattato una serena vecchiaia all'ombra di Draghi con il ruolo decorativo di trumeau, accanto al camino con la fiamma tricolore. Finisce male, malissimo per Luigi Di Maio, artefice della strepitosa trovata che ha mandato tutto in vacca, Farnesina compresa.
Ci voleva uno stratega dell'autogol per attivare con la geniale scissione il terremoto nel M5S, che ha provocato una reazione a catena tipo Chernobyl. Da oggi il suo partitino potrà chiamarsi: Insieme senza più un futuro.
matteo salvini ascolta draghi
È andata male, ma poteva andare peggio, al Pd di Enrico Letta, non più azionista di riferimento del governo dei Migliori e che dunque potrà evitare di pagare il salatissimo prezzo delle vaticinate sei, sette ma forse anche otto piaghe d'Egitto prossime venture. Lo attende un'opposizione con i popcorn se dovessero ricadere tutte addosso a un governo Meloni-Salvini.
Si dirà: e per gli italiani - le cui disgrazie sono state continuamente citate da un Senato in gramaglie per i destini del Paese - come è andata? Ma quali italiani? Basta con questa demagogia!
MARCO TRAVAGLIO E GIUSEPPE CONTE
2 - IL POPULISTA SGANGHERATO
Marco Travaglio per "il Fatto Quotidiano" - ESTRATTO
“Qualcosa non va”, dice Draghi iniziando il discorso al Senato e indicando il microfono, con la solita arietta da Maria Antonietta, ma più proterva e sprezzante del solito. Poi ci spiega che Lui è lì non perché ha avuto 55 fiducie dal Parlamento, ma “solo perché l’hanno chiesto gli italiani” (e noi che non gliel’abbiamo chiesto o ci siamo distratti o non siamo italiani).
MARCO TRAVAGLIO
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Poi purtroppo è tornata la politica, con la sua dialettica fra idee e interessi diversi, che Lui chiama “distinguo, divisioni, sfarinamento, strappi, ultimatum”. Fino a quello dei 5Stelle, che lui ha deciso di drammatizzare con le dimissioni malgrado una fiducia del 70% perché “chiunque potrebbe ripeterlo” (in realtà s’era già ripetuto prima, da Lega e Iv, ma lui se n’era infischiato): un autoaffondamento degno di Schettino, che manda a picco la nave e poi dà la colpa allo scoglio.
meme sulle dimissioni di draghi
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Guardacaso i due leader che a gennaio gli sbarrarono la strada del Quirinale la prima volta che tentò la fuga. Poi quel capolavoro di populismo delle élite sugli “italiani che ci chiedono di essere qui” e la “mobilitazione senza precedenti per il governo, impossibile ignorare”, dove il servilismo peloso dei padroni e delle lobby viene confuso con il consenso popolare.
comizio di giorgia meloni dopo il voto al senato su draghi 3
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Checché ne dica Draghi, piccato con Meloni che lo punge sul vivo, è una richiesta di “pieni poteri”. E può avere due soli moventi: la voglia matta di farsi cacciare, oppure il tentativo di spaccare Lega e FI fra coerenti e governisti a prescindere, come già fatto nei 5Stelle con l’operazione Di Maio (a proposito: Giggino ’a Pultrona aveva escogitato la scissione per stabilizzare il governo e la cadrega, invece li ha fatti esplodere entrambi, praticamente un genio).
GIUSEPPE CONTE E LA DEPOSIZIONE DI DRAGHI - BY EDOARDO BARALDI
A quel punto, clamoroso al Cibali. Lega e FI, offese a morte dal premier, litigano furiosamente e reclamano un nuovo governo senza M5S, infatti non votano la mozione Casini con Pd, Leu e centristi, ma ne presentano una propria.
Ora Conte, additato da tutti come lo sfasciacarrozze del governo per una non sfiducia, può salvare il governo in un solo modo: non più restandovi, ma uscendone. Letta e Speranza, visto il panorama ribaltato, riescono quasi a convincerlo a ritirare i ministri per l’appoggio esterno con la fiducia.
Così la frattura nelle destre governiste esploderebbe, perché il governo avrebbe la fiducia senza di loro.
discorso di massimiliano romeo al senato
Mentre Conte ci pensa, Draghi s’impegna subito per dissuaderlo. In una breve e sgangherata replica, anziché rispondere alle offese del leghista Romeo (ormai la Lega è out), prende i 5Stelle a calci in faccia: balle insultanti sul Reddito (“se non funziona è una cosa cattiva”; e pazienza se Inps, Istat e i suoi stessi ministeri dicono l’opposto; ma Di Maio, l’autore, tace e acconsente) e sul Superbonus (“colpa di chi l’ha mal fatto senza discernimento”; e pazienza per gli effetti positivi sull’ambiente, i 700mila nuovi occupati, il rilancio dell’edilizia e il +6,6% di Pil che Lui peraltro si intesta; ma il Pd, il coautore, tace e acconsente).
Il tutto alzando la voce in quella che ha tutta l’aria di una crisi isterica in piena Aula, oppure una gelida mossa per scoraggiare un’eventuale fiducia grillina in extremis. Risultato: il M5S non si spacca, anzi guadagna pure un senatore; Lega e FI si ricongiungono a FDI.
dimissioni di draghi by osho 1
Il Migliore dei Migliori si congeda così, col secondo e definitivo autoaffondamento alla Schettino, senza più neppure uno scoglio da incolpare. Ha fatto tutto lui, con una serie di mosse talmente scomposte e scombiccherate da non lasciare rimpianti, se non tra i numerosi clientes.
Un tragicomico coming out in diretta tv che ha svelato a chiunque abbia occhi per vedere chi è davvero: un grande cultore non del bene comune, ma del proprio monumento. Così è riuscito ad apparire perfino peggiore dei famigerati partiti che, casomai ne avessero bisogno, Lui e i suoi laudatores avevano screditato per 17 mesi. Diceva bene, Draghi, all’inizio del suo discorso: “Qualcosa non va”. Ma non era il microfono. Era Lui.
giuseppe conte arriva in senato per seguire il discorso di draghi