Estratto dell'articolo di Eugenia Nicolosi per “la Repubblica”
EMANUELA CON IL SUO AVVOCATO MARCELLO MIONE
Non è la forma di un corpo a determinare l’identità di genere. Ed Emanuela è una donna, anche se ha l’organo sessuale maschile. […] Dopo vent’anni di carte, perizie e umiliazioni il tribunale di Trapani le ha riconosciuto il diritto di cambiare nome e identità di genere all’anagrafe senza intervento chirurgico effettuato o programmato né terapia ormonale.
Un diritto che non pensava di avere e che infatti, tecnicamente, in Italia non c’è. E questo fa di lei un caso unico, reso possibile da un principio estrapolato dalla sentenza della Corte di Cassazione che, nel 2015, ha consentito a un’altra donna transgender di legittimarsi come tale prima dell’operazione, che però era pianificata.
Di fatto è stato stabilito che in linea di principio l’organo sessuale maschile non è di impedimento alla percezione di sé come donne. […] Circa vent’anni fa ha iniziato il percorso per la riassegnazione sessuale per via ormonale e chirurgica, per la legge un passaggio obbligatorio per richiedere la rettifica all’anagrafe.
EMANUELA CON IL SUO AVVOCATO MARCELLO MIONE
Ma subire l’operazione per cambiare il proprio sesso significa ridurre la sensibilità dei genitali in modo determinante. Significa, in poche parole, sacrificare la propria sfera sessuale. E quando «i medici mi spiegarono le conseguenze ho scelto di non farlo e di convivere in armonia con il mio corpo. Non avere l’organo sessuale femminile non compromette il modo in cui mi percepisco: donna». […]
Come da prassi, le è stata fatta una perizia d’ufficio. «Mi sono sentita umiliata: come se una persona che si definisce eterosessuale venisse sottoposta a una perizia psichiatrica per verificare che lo è”. Ma alla luce del risultato oggi è felice, anzi: «Spero che la mia esperienza possa essere di aiuto per altre persone che, nelle mie stesse condizioni, temono di rivolgersi alla legge affinché venga loro riconosciuto il diritto di essere sé stesse».