Pierluigi Panza per Dagospia
VITTORIO SGARBI
Dopo la “Bohème” al Festival Pucciniano di Torre del Lago il sottosegretario Sgarbi apre un altro fronte, questa volta con il Festival della Valle d’Itria, in Puglia, “dove - attacca Vittorio Sgarbi - hanno ridicolizzato Il turco in Italia di Rossini”,
che è stato “ambientato in una immaginaria località balneare della Puglia nel pieno del boom economico degli anni ‘60, con ridicole cabine e costumi che umiliano l’ironia e il puro divertimento dell’opera con accostamenti al momento più volgare del consumismo balneare”.
E aggiunge: “Il turco in Italia è del 1815, il tempo del neoclassicismo con artisti come Antonio Canova e altri grandi e fantasiosi maestri di quell’epoca”.
Visto che questa “crociata” contro le cosiddette regie liriche moderne (a parte la confusione tra regia, scenografia e drammaturgia) sembra animare parte dell’opinione pubblica e del Governo, vediamo di cosa si sta parlando - non necessariamente per far cambiare idea.
IL TURCO IN ITALIA DI ROSSINI
La questione dell'interpretazione è un tema centrale della regia nell'opera lirica di oggi, mentre nel teatro di prosa fece capolino sin dagli anni Venti. Mentre la sperimentazione registica non è sempre esistita e sempre esistita la sperimentazione scenografica: prospettiva centrale, prospettiva d’angolo e prospettiva accidentale furono autentiche rivoluzioni sebbene tutto si risolveva in un telo e alcune quinte di chiusura. Poi l’innovazione tecnologica (luce elettrica, palcoscenici mobili…) ha rivoluzionato ancor più la scenografia.
Sino allo sviluppo del cosiddetto teatro di regia, l'opera lirica era invece messa in scena come "illustrazione" del libretto. L'opera era vissuta come intrattenimento e solo con e dopo Wagner ci si è incominciati a porre quella che potremmo chiamare “la questione del libretto”, ovvero se anche la regia non dovesse passare dalla illustrazione alla interpretazione.
IL TURCO IN ITALIA DI ROSSINI
Nel 1977 all’Opera di Francoforte arrivò come Generalmusikdirektor Michael Gielen, che per prima cosa nominò un Dramaturg del teatro, Klaus Zehelein, al quale chiese di curare l’aspetto intellettuale della messa in scena, studiando l’interpretazione dell’opera. Il programma di Gielen fu quello di trattare la musica classica come se fosse contemporanea, ovvero fare come “avrebbe fatto oggi il compositore o il librettista”. Il fine fu quello di dare nuova spinta al repertorio lirico attuando una “decostruzione” drammaturgica, così come una decostruzione è avvenuta in altre pratiche artistiche sin dai tempi delle Avanguardie artistiche del Novecento (anche Mondrian dipinge un albero, ma quello che vediamo non è un albero, sono solo dei segni geometrici).
Così, quando Chéreau realizza quel “Ring” a Bayreuth nel 1976 che provoca una mezza rivoluzione, non omette nulla di Wagner ma, per esempio, nel secondo atto di “Valchiria” interpreta la scena tra Wotan e Brünnhilde solo come monologo interiore che si caratterizza con specchio, gioco di sguardi e un pendolo gigante. A seguire, nella “Aida” di Hans Neuenfels nel gennaio 1981 gli Egizi sono degli Occidentali che obbligano gli Etiopi a mangiare con coltello e forchetta. Di lì l’avvento un’opera lirica di regia non sempre riuscita ma che ha teso a sostituire l’illustrazione con l’interpretazione. Da qui i vari Longchamp, Warlikowski, Hermanis, McVicar, Decker, Carsen, Guth, Castellucci, Michieletto…
rossini