Giordano Bruno Guerri per il Giornale
d'annunzio
Dopo essersi tanto battuto per l' intervento dell' Italia in guerra, il 24 maggio 1915 Gabriele d' Annunzio chiede subito di essere chiamato in servizio. In luglio il raffinato dandy indossa l' uniforme del suo vecchio reggimento, i Lancieri di Novara. A 52 anni è il tenente più anziano delle forze armate. Sfoggia l' elegante divisa di alta sartoria con portamento marziale, per quanto gli concede il fisico insolentito dalla piccola statura e da una vecchiaia precoce.
D ANNUNZIO
Assegnato al quartier generale del duca d' Aosta, comandante della Terza Armata, può scegliere le azioni cui partecipare, i corpi e i gruppi da frequentare. Ogni visita del Vate guerriero è un evento atteso e sperato soprattutto dagli ufficiali, provenienti da quella borghesia patriottica che da anni si esalta con i suoi scritti. È finalmente circondato dal pubblico che desidera da anni: una massa di uomini giovani e forti che lottano per riplasmare il mondo. Nasce l' oratoria dannunziana di guerra, che trasuda ubriacature paganeggianti e invocazioni mistiche.
Nella nuova guerra industriale, che trasforma l' individuo in moltitudine anonima da offrire alla falce della mitragliatrice, vuole infondere lo spirito delle guerre del passato. Se il conflitto è destinato a rinnovare il mondo, occorre che abbia il suo mito, le sue imprese, i suoi eroi. Provvederà personalmente con imprese spettacolari, la Beffa di Buccari nel 1917, il Volo su Vienna nel 1918.
GABRIELE D ANNUNZIO
La letteratura si fa azione per diventare leggenda. Nasce una nuova figura pubblica: il Poeta-soldato. Quando l' appellativo entrerà nell' uso, ammetterà di preferire «Poeta-eroe».
Non dimentica di avere scritto quando era stato costretto a prestare il servizio di leva di detestare il clima militaresco, «nemico di ogni fioritura intellettuale». Né rinnegò mai «l' orrore» provato «fin dai primi anni di età, dell' odore del prossimo, dell' aspetto del prossimo, della vicinanza e del contatto di un estraneo». Ritirato al Vittoriale, scriverà: «Durante la guerra, durante l' impresa di Fiume il mio sforzo nel tollerare il gomito a gomito' nella nave, nel velivolo, nella trincea, è parte vera del mio eroismo senza misura; ed è la certa diminuzione della mia gioia nell' atto mistico del dono di me, della sfida costante alla morte».
d'annunzio
In compenso la libertà di muoversi tra le diverse specialità delle Forze armate gli permette di privilegiare l' aviazione, che rappresenta il connubio tra epica e modernità, tra mito e realtà.
Nell' estate 1915 iniziano le sue imprese a fianco dei migliori assi. Numerose fotografie lo ritraggono nella divisa o nella giubba da aviere, sempre sorridente: «È la gioia del guerriero», spiega, «che poteva rimanermi ignota se la sorte non mi avesse gettato nella guerra dopo tanti anni di tristezza alla fine del mio vigore».
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Troppo anziano per pilotare, frequenta un corso da aviatore osservatore. Quando le alte gerarchie delle Forze armate cercano di dissuaderlo a rischiare la vita, protesta direttamente con il presidente del Consiglio: «Io non sono un letterato dello stampo antico in papalina e pantofole», scrive. «Io sono un soldato. Ho voluto essere un soldato, non per stare al caffè o a mensa, ma per fare semplicemente quello che fanno i soldati».
Gabriele D'ANNUNZIO
In realtà è un soldato piuttosto speciale. Si acquartiera più da principe che da soldato, nella Casetta rossa, dove può ricevere le immancabili donne. La gloria, tuttavia, è l' ossessione a cui tende senza risparmio, con un disprezzo del pericolo che lo spinge a escogitare le peripezie militari più provocatorie e pericolose, che la sua presenza rende significative più per la propaganda che per la loro rilevanza militare. Il governo austriaco fissa una taglia di ventimila corone per la sua cattura. Il letterato di un tempo non c' è più, la poesia superstite combacia con l' azione, il gesto eroico gli appartiene davvero, non è affettazione letteraria, ma qualcosa di simile alla «creazione di un poema».
giordano bruno guerri
È come se le sue energie creative avessero cambiato direzione, anche nell' arte della parola. Durante un raid su Pola impone ai piloti di sostituire «hip hip hurrah!», grido di battaglia d' origine nordica, con un' esortazione più consona all' anima latina: «eia, eia, eia, alalà». L' aveva scoperto in Eschilo e in Pindaro, usandolo nella Fedra e nella Nave, e fece in modo che divenisse il segno distintivo degli aviatori italiani. Il rituale e gioioso «eia, eia, eia, alalà» alimenta l' immagine della «guerra-festa», e lo sentiremo echeggiare a Fiume molto prima che il fascismo lo rendessero impronunciabile per noi posteri.
Nel gennaio 1916 il suo aereo fu costretto a un violento ammaraggio, che gli causò una ferita al capo e il rischio di distacco della retina, soprattutto all' occhio destro. Per non rimandare il fitto programma di missioni e comizi di incitamento ai soldati, e soprattutto per non mostrarsi sofferente ai commilitoni, ignorò la ferita per alcuni giorni. L' incoscienza gli provocò la perdita di grande parte della vista all' occhio destro. Per salvare quello superstite dovette rimanere immobile, bendato, per due mesi. Troverà modo di sfruttare la disgrazia scrivendo un capolavoro, il Notturno, definendosi «l' Orbo veggente» e tagliando in due il viso, altrimenti banale, con una benda sull' occhio destro. Dismessa la benda, si arricchirà il viso con un monocolo.
dannunzio olga levi
dannunzio al mare
Al termine della guerra era decorato da una medaglia di bronzo, tre medaglie d' argento, dall' ordine militare di Savoia, dalla Croix de guerre -la più importante decorazione francese- e da altri riconoscimenti da quasi tutti i Paesi alleati. Sono premi che sollecita lui stesso, in nome della sua sensibilità per i simboli e per la costruzione della propria immagine pubblica. A coronamento di quella cascata di onorificenze, gli viene conferita la medaglia d' oro al valor militare.
Ma la sua avventura di Comandante è appena iniziata. Il 24 ottobre 1918, anniversario di Caporetto, pubblica sul Corriere della Sera una poesia che contiene un motto destinato a diventare un leitmotiv del dopoguerra: «Vittoria nostra, non sarai mutilata». Sta per iniziare l' Impresa di Fiume.
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