Biennale d'arte di Venezia 2019 - Di Veronica Del Soldà
Alessandra Mammì per Dagospia
Video di Veronica Del Soldà per Dagospia
Biennale Venezia 2019
Poiché viviamo “in tempi interessanti” (anche troppo) e soprattutto difficili da irreggimentare il curatore Rugoff di questa 58ma Biennale lascia agli artisti il compito di raccontarli. Insomma: “voi fate quel che vi pare, io cerco di dare un ordine al vostro caos”. E’ un metodo.
Ce ne sono e ce sono stati altri.
Quello fortemente ideologico di Okwui Enwezor (Biennale 2015) che ha riportato tutto il discorso a ciò che resta del marxismo e soprattutto dell’idea romantica del marxismo che ha attraversato il secondo Novecento.
rugoff biennale
Quello classificatorio, illuminista e scientifico di Massimiliano Gioni (2013) e del suo potente “Palazzo Enciclopedico” che avvicinava l’arte all’ossessione e alla patologia.
Quello inutilmente palpitante , emotivo e confuso della penultima Biennale di Christine Macel che organizzava le opere come canzonette tra una sezione sull’amore e un’altra sulla paura.
Biennale Arte 2019- - photo-Irene-Fanizza
O infine quello creativo alla Milovan Farronato che è il quarto artista (o il primo) dell’attuale padiglione italiano dove i lavori della straordinaria Liliana Moro (merita un discorso a sé), il sentito omaggio alla (troppo presto) scomparsa Chiara Fumai, e la riproposta dell’esule a Londra Enrico David, sono materia tra le sue mani e nel suo labirinto di sorprese e tendaggi che è un’opera a sé.
Biennale Venezia 2019
E poi c’è Ralph Rugoff, il curator maximus di questa Biennale. Un newyorkese che sembra un perfetto londinese, figlio di un distributore cinematografico e di una psicanalista, che arriva da studi di semiotica e ha un passato da direttore di musei e gallerie ma anche di giornalista.
Biennale Venezia 2019
Freddo, ironico, sciattamente elegante, stazzonato quel che chiede lo stile britannico, Rugoff dimostra il necessario distacco dal mondo che gli permette di restare dietro le quinte. Il suo impegno curatoriale sta tutto nella scelta degli artisti e nella disposizione delle opere. Il titolo “May You Live in Interesting Times” dimostra appunto che non lui non vuole dimostrare niente tranne quel che c’è. E siccome gli artisti sono tutti selezionatissimi (al 70 per cento pure bravi) e sono solo una settantina, lui in nome del “meno è meglio” chiede a ognuno di fare due opere diverse: una ai Giardini e una all’Arsenale.
BIENNALE 2019 - OPERA DEI CINESI SUN YUAN E PENG YU
Quinn - Biennale Venezia 2019
E sotto gli occhi del visitatore accadono cose che spaziano tra tutti sentieri e le contraddizioni del mondo. Ma se con sforzo innaturale dobbiamo dividere per temi questa Biennale ecco che le linee guida potrebbero ridursi a una forte presenza della Blackness con tutti i suoi derivati (violenza, esclusione, sopraffazione, white washing e faziosità dei media); Fluid Gender (in tutte le sue possibili manifestazioni fisiche e antropologiche, più potenzialità creative); Catastrofi ambientali (e derivati): cambiamenti climatici e inquinamenti d’ogni genere); Realtà digitale che spazia dal ludico all’horror.
BIENNALE 2019 - LA BARCA DI CHRISTOPH BUCHEL BIENNALE 2019 - OPERA DI TERESA MARGOLLES
Carole-Feuerman - Biennale Venezia 2019
Anzi a dire il vero il filo rosso di questa Biennale sembra proprio questa tensione infantile e perversa fra gioco e orrore. Una bambola assassina insomma che spunta ovunque fatale e innocente. Arriva dall’installazione di Ed Atkins che ci accoglie all’ingresso dell’Arsenale, trasuda dagli schermi al plasma dove scorrono immagini splatter piazzate tra soffocanti quintali di vestiti usati che pendono da stand pesanti come corpi; sfarfalla nell’olografico “angelo del focolare” di Cyprien Gaillard che riprende Max Ernst ma lo rende ancor più terribile accanto a Dahn Vo in una delle più belle sale dei Giardini.
Lituania . Biennale Arte 2019
E’ assassina l’inquietudine della luce accecante di Ikeda (compositore e artista giapponese) nell’implacabile corridoio di neon del padiglione centrale e nella sfida stroboscopica che lancia anche alla fine dell’Arsenale con la pretesa di catturare l’immensità dell’universo macro e micro a suon di pixel, immagini ad alta definizione e un oceano di dati pulsanti, rubati a serbatoi scientifici dal CERN alla NASA.
christian holstad - Biennale Venezia 2019
Si potrebbe poi parlare di quel che resta del corpo nelle pelli di latex nero che pendono come un olocausto a metà del percorso (opera di Alexandra Bircken) o nei frammenti di corpi in vetro che Andra Ursuta definisce “contemplazione tragicomica della vita”: mentre la bella/o e nuda/o Martine Gutierrez, queer star seduce maschi manichini e Zanele Muholi artista dichiaratamente lesbica che si fa chiamare “attivista - e non artista -visiva” pianta sui muri bellissime gigantografie di autoritratti dove s’immortala in tante diverse identità per dire allo spettatore: “Guardami sono nera, sono lesbica, sono una forza che non può essere ignorata”.
Laura Berlinghieri Biennale Venezia 2019
Si può continuare a lungo ovviamente a spoilerare l’apollineo e il dionisiaco di questa Biennale ma meglio è chiedersi cosa ha fatto Rugoff per meritare tanto.
christian holstad - Biennale Venezia 2019
Beh, ha fatto forse l’unica cosa che in questi “tempi interessanti” si poteva fare: un collage.
Ha lasciato liberi artisti. Ha preso in mano le loro opere e poi ha incollato il suo discorso. Più debole ai Giardini, molto forte all’Arsenale.
biennale 2019-1
Ma comunque un percorso emotivamente interessante dove è riuscito a comporre un melodramma degno dei nostri tempi, con pause, rallentamenti, recitativi, cori improvvisi, suoni di trombe e su tutto la voce di potenza tenorile degli artisti che intonano un “vissi d’arte” che vale la visita.