CARLO PERNO
Francesco Rigatelli per “la Stampa”
Il professor Carlo Perno, 64 anni, ha seguito la prima ondata da direttore del Laboratorio di Microbiologia del Niguarda di Milano e ora la seconda a capo di quello del Bambin Gesù di Roma.
Le nuove misure freneranno la curva?
«A marzo pensavamo di vedere i risultati del lockdown in dieci giorni, ma arrivarono un mese dopo. L' impennata attuale è legata a tanti fattori, tra cui una coda delle vacanze finite a settembre. Allo stesso modo se il Dpcm sarà efficace lo scopriremo tra un mese».
Nell' attesa rischiamo il lockdown?
«Il Dpcm è orientato a ridurre i contatti personali multipli. Se accadrà, dato che il virus si trasmette per incontri diretti, dovremmo vedere un calo della curva, ma non in tempi brevi».
C'è sempre chi dice: troppo tardi o non basta.
coronavirus terapia intensiva
«Si è cercato un equilibrio accettabile tra virologia ed economia. Certo prima di avere dei risultati la curva salirà: chi si è infettato in questi giorni ha un' incubazione di 7-10 giorni, non a caso il tempo della nuova quarantena».
Aveva ragione chi diceva che il virus non è mutato?
«È più complicato: il virus non ha perso forza sia dal punto di vista virologico sia clinico, ma al contempo un po 'è mutato, nel senso che ha fissato una mutazione che lo aiuta a replicare meglio. Questo non significa che sia più cattivo, semplicemente si diffonde di più».
CARLO FEDERICO PERNO 1
Le terapie intensive sono al limite?
«No, ma i posti liberi calano e, a differenza della prima ondata, senza grandi differenze regionali. Campania, Veneto, Trentino-Alto Adige e Sardegna sono i luoghi più a rischio secondo la mappa dell' European center for disease control. In ogni caso, l' Italia è messa meglio della Francia e molto meglio della Spagna».
Chi finisce in terapia intensiva oggi?
«Anziani, immunocompromessi, ma anche trentenni, quarantenni, cinquantenni e sessantenni che sviluppano la forma più grave della malattia per varie ragioni, tra cui la carica virale ricevuta e motivi genetici».
È il pienone degli ospedali che decide il lockdown?
coronavirus terapia intensiva
«Si tende ad escluderlo, ma si tratta di una decisione politica. L' auspicio è che le misure prese lo evitino».
Il dato per capire la situazione è la percentuale di positivi su tamponi fatti?
«È un dato interessante, ma va interpretato. A marzo si tamponavano solo i malati, mentre oggi molte più persone. Inoltre molto dipende da quanti tamponi si fanno. Non sempre le regioni con percentuali basse sono messe meglio».
Ora che non ci lavora più: che problema ha la Lombardia con i tamponi?
«Di approvvigionamento, perché è un territorio molto grande con oltre 10 milioni di abitanti. Ogni ospedale poi lavora in modo diverso. Ora il sistema di approvvigionamento è stato centralizzato, ma pare non funzioni al meglio».
fila per i tamponi al drive in roma
E gli oltre 100mila tamponi al giorno in Italia bastano?
«Si tratta di un grande miglioramento rispetto al passato, perché così siamo in grado di cercare i contagiati, ma bisogna aumentarli ancora».
I guariti possono reinfettarsi?
«Tutti i guariti sviluppano anticorpi, ma meno della metà li ha neutralizzanti, dunque tanti possono riammalarsi. Questo significa che alle conoscenze attuali l' immunità di gregge è impossibile».
Una nota positiva?
«Paradossalmente che il virus sia mutato poco, perché così è più probabile che si trovi un vaccino efficace».