Azzurra Barbuto per "Libero Quotidiano"
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Brillanti pensatori, dotti studiosi, opinionisti da strapazzo avevano profetizzato che il virus ci avrebbe indotti ad essere più buoni, altruisti, attenti al prossimo. In realtà, il Covid-19 ci ha resi soltanto più soli, oltre che più diffidenti.
Che negli ultimi mesi il nostro senso di solitudine si sia acutizzato e le distanze non solo fisiche si siano trasformate in fratture e abissi è confermato dai dati di Telefono Amico, organizzazione che dal 1967 si prende cura di chiunque abbia bisogno di sostegno garantendo il totale anonimato e che comprende 20 centri di ascolto telefonico locali distribuiti su tutto il territorio nazionale, per un totale di 500 volontari. In tre mesi l'associazione ha ricevuto oltre 2mila richieste di aiuto attraverso WhatsApp, una media di 24 al giorno, ossia una ogni ora.
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Aumento vertiginoso se consideriamo che dal 2017 all'inizio della epidemia sono stati 5 mila gli utenti che si sono affidati allo strumento di messaggistica istantanea al fine di entrare in contatto con Telefono Amico, che di recente ha dovuto allargare la sua rete di volontari che si occupano di questo servizio specifico, portandoli da 20 ad oltre 50. Pure le chiamate sono cresciute, anzi raddoppiate rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, superando la quota di 25 mila telefonate al numero unico 02 2327 2327 in appena 90 giorni, per una media di quasi 300 chiamate al dì, una ogni 5 minuti.
tristezza e social network
Queste cifre ci danno l'idea di quanta disperazione abbia in queste settimane albergato negli animi degli abitanti della penisola. Nel momento in cui si è arrestato bruscamente quel vortice nel quale tutti vivevamo immersi e che ci faceva correre da mattina a sera senza sapere il perché, ci siamo d'improvviso accorti di non avere accanto nessuno con cui dialogare, che ci abbracci, con cui piangere e ridere, condividendo gioie e dolori.
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Le statistiche Tale spesso strato di vuoto avvolge sia gli uomini che le donne, ma mentre i primi prediligono parlare a voce con i volontari di Telefono Amico, le seconde utilizzano la scrittura e depositano su WhatsApp paure e sensazioni. All'ascolto c'è sempre un volontario, il quale risponde prontamente spingendo colui o colei che è in cerca di conforto a non disperare e a non sentirsi abbandonato.
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Snoccioliamo più attentamente le statistiche: nel 62% dei casi gli utenti che hanno usufruito del servizio di WhatsApp Amico, attivo tutti i giorni dalle 18 alle 21 (345 0361628), sono state donne tra i 20 ed i 40 anni. Di età compresa tra i 26 ed i 35 anni nel 29,8% delle rilevazioni o tra i 36 e i 45 anni nel 23,4%. Il tema del Covid-19 è stato affrontato nel 38% delle conversazioni. Stupisce questa larghissima percentuale di signore, pure abbastanza giovani.
Ragazze che una volta sarebbero state sposate e che oggi sono single o separate, quindi si sono ritrovate a trascorrere i mesi della quarantena in totale solitudine e senza la possibilità di incorrere nella presenza umana magari in ufficio, in palestra o in altri luoghi di aggregazione come è sempre avvenuto.
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Il 54% di coloro che hanno usato la chat di Telefono Amico lo ha fatto per problemi quali disagi esistenziali, legati a prospettive di cambiamento, senso di isolamento e bisogno di compagnia, ma sono state segnalate altresì problematiche relazionali (36%) o connesse alla sensazione di emarginazione (8%).
Talvolta sono emersi problemi specifici legati alla salute psichica, alla violenza fisica e psicologica, alle condizioni lavorative ed economiche, a lutti. Le giovanissime non disdegnano affatto la stesura di lettere in cui si sfogano e domandano soccorso, inviate all'indirizzo mail dell'associazione.
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Esprimersi in libertà Il 69% dei soggetti che adoperano le chiamate dirette invece è costituito da maschi, di età compresa tra i 36 ed i 55 anni (50%). «La netta differenza dell'utenza dei nostri tre strumenti di ascolto è strettamente connessa alla familiarità e confidenza delle persone con i vari mezzi di comunicazione», spiega Monica Petra, presidente di Telefono Amico Italia.
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«Quando emerge in noi l'esigenza di raccontare le nostre emozioni, avvertiamo pure la necessità di farlo in situazioni confortevoli, in quanto aprirsi è operazione faticosa e difficile. Ognuno, dunque, seleziona la modalità che conosce meglio e con la quale riesce ad esprimersi con maggiore libertà», continua Petra. Forse è giunta l'ora di assumerci qualche rischio compiendo un primo piccolo passo in avanti per uscire fuori da quel perimetro angusto che troppo di frequente ci tracciamo intorno e andare incontro a chi potrebbe essere solo come noi.
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