Estratto da “Che Stupida” di Ilary Blasi
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[…] Di segreti nella nostra famiglia cominciavano a essercene troppi. Ero esausta, non ne potevo più della nebbia che avvolgeva la nostra vita: mio marito che entrava e usciva di casa senza dire dove andava, chi frequentava, quando sarebbe tornato, alimentando un flusso incessante e cattivo, gratuito, di voci sul suo conto. E ora questo. Perché? Era una situazione assurda: mia figlia indotta a tacermi i nomi dei suoi amici... […]
Mentre giocavamo, non mi davo pace: morivo dalla curiosità, chissà quanti erano questi nuovi amichetti, come si chiamavano. Eravamo usciti per vent’anni con gli stessi amici: qualcuno doveva pur conoscerli! Però tenevo tutto per me, non volevo che lei percepisse la mia preoccupazione per quel mistero, né che si sentisse forzata a riferirmi qualcosa che avrebbe preferito tacere.
ILARY BLASI - CHE STUPIDA
A un certo punto – immagino sentisse il desiderio di raccontarmelo, di coinvolgermi – fu Isa a tornare sull’argomento, scucendo il nomignolo di una bambina, che mi disse essere più grande di lei e avere un fratello più piccolo, di cui mi rivelò il nome. Continuando a giocare, pensavo e ripensavo alle informazioni che avevo raccolto: Francesco aveva portato nostra figlia a casa della fidanzata di un nostro amico storico e là c’erano tanti bambini, fra cui questi due, fratello e sorella.
Ma nel nostro solito giro nessuno aveva figli con quei nomi e di quell’età. Era strano. Davvero Francesco – che all’apice della fama non usciva senza spalla, il cugino oppure qualche amico – si era lanciato con Isa in un contesto praticamente nuovo? Forse si era portato un amico, ma per saperlo avrei dovuto chiedere di nuovo a lei e non intendevo farlo, nel tentativo di tutelarla il più possibile. Mentre passavo mentalmente in rassegna i figli dei nostri amici, in cerca di due fratelli che corrispondessero agli scarni dati forniti da Isa, mi ricordai di aver letto da qualche parte che
PRIMO BACIO TRA ILARY BLASI FRANCESCO TOTTI - 31 MARZO 2002 - FOTO MEZZELANI GMT
Noemi, la ragazza fotografata allo stadio, aveva due bambini, un maschio e una femmina. Dovevo scoprire come si chiamavano. Controllai su Instagram, vuoi mai che nel frattempo lei avesse deciso di sbloccare il profilo... purtroppo no. Cercai in rete: che lei avesse due figli era indubbio, ma dei nomi nessuna traccia. Mi rimaneva solo “radio quartiere”: telefonai a un’amica, che chiamò un’amica, che a sua volta aveva un’amica che era follower di Noemi, e in capo a un paio d’ore avevo nomi ed età dei bambini. Corrispondevano.
Appena chiusi la porta mi sentii debole, sfinita, senza più energia nemmeno per reggermi in piedi. Inciampai, mi appoggiai al letto con una mano e scivolai giù. Seduta sul pavimento nero, la testa reclinata sul materasso, abbracciandomi le gambe come una bambina riuscivo a pensare solo: “Che stupida”. Certo che no, lui non si era portato l’amante allo stadio. Figuriamoci se era andato con la Lamborghini sotto casa di quella. Mai gli sarebbe venuto in mente di andare in vacanza con lei a Montecarlo, nel “nostro” albergo! […]
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Francesco aveva nascosto l’amante nel posto meno ovvio: alla luce del sole. Dove nessuno sarebbe mai riuscito a convincermi che c’era, a meno di mostrarmi una fotografia di loro due avvinghiati, a meno di aprire la porta della nostra camera e trovarli insieme sotto le lenzuola. Perché per me mio marito non mi avrebbe mai tradito, così come io non avrei mai tradito lui. I suoi valori, le promesse che ci eravamo scambiati... Ci eravamo sposati per la vita, sicuri che saremmo invecchiati insieme, come i miei genitori e i suoi. Il tradimento non era nei patti.
Mi venne un attacco di nausea. Corsi in bagno. Vomitai quel niente che avevo nello stomaco e rimasi lì, sudando freddo, una mano a tenere i capelli raccolti, osservando il disgustoso rivolo di acidità che colava nel water insieme alle mie lacrime. Nemmeno me n’ero accorta, di aver cominciato a piangere.
[…] Può capitare a tutti, perché non a noi? Cosa avevamo noi di speciale rispetto alle altre coppie? Il lavoro, d’accordo. Ma la nostra quotidianità era normale: lui usciva al mattino, tornava a casa la sera, io passavo un paio di giorni alla settimana a Milano, ci occupavamo dei bambini, dei nostri genitori...
ilary blasi foto di bacco
Quest’uomo sfuggente, invece, non lo conoscevo. Mi aveva mentito, mi aveva punito provocandomi per mesi sensi di colpa quando il problema era suo, non mio. Non era mai stato mio. E poi mi aveva mandata a schiantarmi in televisione, a negare la sua relazione e a insultare tutti i giornalisti d’Italia. Quest’uomo non era quello che mi aveva sposata, era quello che mi aveva tradita. Cosa si aspettava, adesso? Cosa sperava? Come si sentiva? Non ne avevo idea. […]
Avevo bisogno di vederlo con i miei occhi: solo così avrei neutralizzato la parte di me che proprio non voleva saperne di accettare Francesco per quello che era, e sarei riuscita a costruirmi un’armatura di ghiaccio per sopportare quanto sarebbe avvenuto dopo. Appena lui mi annunciò che sarebbe uscito a cena, sfruttai “radio quartiere” per recuperare l’indirizzo di lei.
NOEMI BOCCHI FRANCESCO TOTTI
Poi chiamai Giorgia, la moglie di Angelo. Le confidai che era tutto vero, che Francesco aveva una relazione con la ragazza delle foto, che da febbraio – evidentemente coperto dal mio amico storico – mi aveva riempito di menzogne, che di nascosto aveva portato Isabel a casa di lei, a giocare con i suoi figli. Giorgia era scioccata.
La capivo fin troppo bene. Nessuno avrebbe potuto immaginarlo, perché quello non era lui, non era mio marito. Eppure. Mi ascoltò in silenzio, poi scoppiò a piangere. Mi salì un groppo in gola e lo deglutii subito dopo, bevendo un bicchier d’acqua. Mi ero ripromessa di non abbassare la guardia con nessuno, non potevo cedere subito.
[…]
Verso le undici passò a prendermi. Lasciai i ragazzi, già a letto, alle cure della tata, e salii in macchina. Ero talmente in fibrillazione che non ce la facevo a stare ferma. Dopo dieci metri chiesi a Giorgia di scambiarci di posto e ripartii alla guida della sua auto, mentre lei, Google Maps alla mano, fungeva da navigatore. Alle undici e mezzo parcheggiammo sotto il muro di cinta di quella che avrebbe dovuto essere la casa di lei. Eccola lì, l’auto più sobria, più impersonale, fra quelle a disposizione di Francesco. Ed ecco la sua voce, mischiata a molte altre, salire dal giardino appena oltre il muro.
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Non vedevamo nulla, ma sentivamo tante persone parlare, come se ci fosse una cena tra amici, una grigliata di quelle che organizzavamo a casa nostra. Scesi dall’auto: «Vado». Provai ad arrampicarmi al muretto, i polpastrelli abbarbicati alle mattonelle. Per salire ancora dovevo spingermi più avanti, agganciarmi con le mani oltre il muretto. Le voci erano sempre più forti, “Dai che ci sei quasi”, ma scivolavo e temevo di essere vista, quindi tornai all’auto e guardai Giorgia sbattendo le ciglia.
«No, ti prego, non chiedermelo.» Tre secondi dopo stava provando a sbirciare all’interno. Era buio pesto, non si vedeva niente, men che meno dove appoggiare le mani, però lei tentò di salire finché non sentì una voce: «C’è qualcuno, c’è qualcuno!». Si lasciò andare all’istante, balzò giù e si precipitò in macchina urlando «Parti parti parti!». Per l’agitazione, invece della prima ingranai la retro e andai a sbattere contro un albero. Mi girai verso di lei, che scoppiò a ridere, e ci dileguammo lentamente alla volta di casa.
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[…] La mattina successiva partii per Milano, dove mi sarei fermata per ventiquattr’ore.
In treno benedicevo il salottino privato che l’assistente di Graziella mi aveva prenotato, così nessuno mi avrebbe letto in faccia lo sconforto e la rabbia – verso di lui ma anche verso di me – per non averlo intuito subito. Stavo scrivendo a mia sorella per chiederle di ospitare Isa quella sera, quando Francesco mi comunicò che l’avrebbe portata fuori a cena in un ristorante insieme ad alcuni amici. “Al ristorante, come no” mi dissi.
[…] Quel pensiero mi angosciava. Tanto per cambiare mi stavo sentendo in colpa, e per il motivo più assurdo: aver creduto a mio marito. Eppure l’unico ad aver avuto il coraggio di rompere il sistema di omertà che gravitava attorno a Francesco era stato proprio un giornalista, cioè Roberto D’Agostino. Se non l’avesse smascherato, pubblicando quella foto, con ogni probabilità avrei passato altre ore sul divano della mia agente a rimuginare sul nulla.
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