Stefano Lorenzetto per il “Corriere della Sera”
riccardo illy
Scritto in Arial, il carattere più banale del pc, il cognome Illy assomiglia a un triplice muro, dal quale l’ultima lettera tenta di sgusciare via. L’imprenditore Riccardo Illy incarna quella ipsilon finale. A 18 anni si fece assumere come facchino da una cooperativa.
A 19 se ne andò di casa, senza dire nulla ai suoi, per sposarsi in jeans e scarpe da tennis con Rossana Bettini, che dopo quasi mezzo secolo resta sua moglie. Da sindaco si sottrasse alla scorta che il prefetto di Trieste voleva imporgli e continuò a girare in moto, nonostante l’ordigno zeppo di chiodi esploso davanti alla sua casa: «Però circolavo armato».
Nel 2016 lasciò Illycaffè, che ora vede al comando il fratello Andrea, per dedicarsi al Polo del Gusto, la holding familiare dei prodotti di nicchia: Domori (cioccolato), Dammann Frères (tè), Pintaudi (biscotti), Achillea (succhi e confetture bio), Agrimontana (frutta conservata). La mattina appena sveglio beve un tè invece del caffè.
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Si vocifera che lei consumi gli yogurt scaduti.
«Sono ancora vivo».
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Perché scese in politica?
«Me lo chiesero cittadini, amici, industriali, scienziati. Arrivarono a me per disperazione, dopo che Giacomo Borruso, rettore dell’università, aveva rifiutato la candidatura a sindaco di Trieste».
La famosa «società civile».
«Esatto. Vado orgoglioso di aver portato in consiglio comunale nel 1993 l’astrofisica Margherita Hack e Paolo Budinich, cui Trieste deve il titolo di Città della Scienza».
Ma prese tante pernacchie.
«Quella era la specialità dell’indipendentista Giorgio Marchesich, centralinista del Piccolo, il quotidiano locale. Chiudeva i suoi interventi con il versaccio. Siccome aveva il record delle preferenze, divenne presidente dei consiglieri. “Soprintendo i lavori contro la mia volontà”, esordì. Molto simpatico».
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Alla Camera andò meglio?
«Due anni sprecati a schiacciare bottoni. Il deputato parla mentre un rappresentante del governo finge di ascoltarlo. Il dibattito parlamentare va abolito. È solo una farsa».
Gli imprenditori non devono fare solo gli imprenditori?
«No. Troppo facile criticare e basta».
Quindi che differenza c’era fra lei e Berlusconi?
«Io agivo per spirito di servizio, lui perché si sentiva minacciato dai comunisti. Lo disse nel 1993, invitandomi a un incontro il cui scopo mi fu chiaro solo l’anno seguente».
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È contento di Elly Schlein?
«No, credo che sia una iattura per il Pd, per il centrosinistra e pure per Giorgia Meloni, che ancora non lo sa».
La sta avvertendo. Spieghi.
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«Al leader della maggioranza serve un’opposizione forte, non debole e frammentata, altrimenti si rafforzano i rivali interni. Schlein farà perdere molti voti al Pd. Trovo surreale che l’abbiano eletta i passanti. Il segretario giusto era Stefano Bonaccini».
Quando Matteo Renzi perse il referendum, lei predisse che sarebbe risorto come l’araba fenice. Più che altro è diventato mezzo arabo.
«Vero. Una delle mie previsioni sbagliate, non l’unica».
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Riccardo Illy