Sergio Rizzo per la Repubblica
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Avrebbero dovuto farlo molto prima. «Ma noi almeno ci provammo», rievoca Paolo Peluffo. Correva l' anno 2012, governo di Mario Monti. Peluffo era al posto che oggi occupa il grillino Vito Crimi, sottosegretario alla presidenza con delega all' editoria. E fece un decreto che rendeva obbligatoria dal primo gennaio successivo la tracciabilità delle vendite e delle rese dei giornali con l' introduzione di un sistema informatico che avrebbe di conseguenza messo in rete tutta la filiera, edicole e rivendite comprese. Ma per anni non se n' è mai fatto nulla. Il motivo? Per essere applicata la legge prevedeva un decreto attuativo, che avrebbe dovuto fare la presidenza del consiglio d' intesa con il ministero dell' Economia.
E poi si è tirato in lungo, con proroghe continue. Così la tracciabilità è diventata obbligatoria solo all' inizio del 2018: cinque anni dopo essere stata decisa. Con tutto quello che ne consegue. Di fatto, quanto a una informatizzazione efficace della filiera che dovrebbe collegare editori, distributori e rivendite, siamo ancora a carissimo amico.
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C' era dunque da aspettarselo che nel piano del governo per affrontare la crisi drammatica della stampa affidato a Pier Luca Santoro, ingaggiato da Crimi lo scorso novembre come consulente del dipartimento per l' editoria, ci fosse fra i primi punti proprio questo.
Non soltanto per rendere più efficiente e trasparente il sistema, aprendo anche prospettive di nuovi business editoriali, quale quello degli abbonamenti elettronici: magari con ritiro delle copie di carta presso le edicole. Un sistema informatico degno di questo nome spingerebbe le rivendite dei giornali verso le frontiere ancora assai poco esplorate dei servizi al pubblico in modo molto più organico di come si faccia ora, con iniziative sporadiche locali. In città come Genova, Firenze, Modena e Torino accordi specifici con le amministrazioni comunali già consentirebbero alle edicole di rilasciare certificati anagrafici. Ma il percorso è ancora lungo e accidentato.
«Se il progetto di informatizzazione non è mai decollato davvero è per gli interessi dei distributori, che con la contrazione del mercato sono diventati ormai potenti monopolisti locali», avverte Giuseppe Marchica, il segretario del sindacato giornalai della Cgil.
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Il fatto è che un sistema opaco favorisce chi nella filiera ha una posizione dominante finendo per penalizzare sempre l' anello più debole: le edicole, appunto.
«In alcune aree del Paese ne scompaiono anche al ritmo di quattro o cinque al giorno», lamenta Andrea Innocenti, il presidente del sindacato autonomo Snag legato alla Confcommercio. «Una decina d' anni fa la mia edicola di Firenze», ricorda, »vendeva mille quotidiani al giorno. Oggi quando va bene sono 170, forse 180». E una situazione nella quale si lotta anche per la singola copia presenta anche aspetti da guerra fra poveri: «Bar e supermercati attrezzati come sale di lettura intrattengono i clienti con una sola copia di giornale e noi ne perdiamo a decine, perché chi l' ha letto di sicuro non lo compra più».
Difficile dire quanto anche questo aspetto, trasformatosi ora in una precisa rivendicazione economica nei confronti di quelle "sale di lettura" gratuite, contribuisca al tracollo. Che ha assunto comunque proporzioni ormai ingestibili. «Le edicole che vendono solo giornali e riviste», dice Marchica, «hanno ormai in media un utile inferiore alle mille euro al mese. Ditemi voi se è una cosa sostenibile». Da una parte i monopolisti della distribuzione.
roberto, l'edicolante autistico di napoli che chiede pazienza ai clienti 1
Dall' altra i prezzi di vendita sempre più bassi di talune pubblicazioni comprimono i ricavi, perché su ogni pubblicazione il rivenditore ha diritto a una quota fissa del 18,70 per cento: tanto che i sindacati ora chiedono l' aumento di quell' aggio e il governo sta pensando a una regola per impedire al taglio del prezzo di copertina di gravare sull' incasso dell' edicolante. Il fatto è che oggi le edicole sono allo stremo, nonostante la miriade di tentativi fatti per allargare il giro d' affari. Si cominciò addirittura nel 2001, quando i giornali ancora tiravano, con la proposta di fargli vendere anche le sigarette.
Affondata dalla protesta dei tabaccai. Intanto il sindaco di Roma Walter Veltroni consentiva di vendere biglietti del teatro e dello stadio, giocattoli, pellicole fotografiche. Mentre già ovunque si vendevano i biglietti dell' autobus, e qualcuno anche i biglietti della lotteria. Dieci anni più tardi, a Milano, pensarono di trasformarle in infopoint. Poi un accordo per fargli smistare pacchi e corrispondenza. Fino all' idea, in Liguria, di farle diventare quasi pasticcerie. Oppure, ancora a Milano, luoghi per degustare i cibi tradizionali. Senza arrestare la morìa. «O si mettono sul tavolo le risorse per affrontare questa fase difficile sperando che le misure di cui si parla la possano far superare, o non ci saranno prospettive. Nemmeno per gli editori e i distributori. Teniamo presente che quando chiude una edicola, le copie che si sono perdute non vengono recuperate», avverte Marchica.
fiorello meloccaro
Qui si tocca con mano quanto c' entri la democrazia. Meno edicole, meno giornali. Meno giornali, meno informazione: soprattutto per le migliaia di paesi ormai senza punti vendita e le fasce più anziane e fragili della popolazione. E proprio per questo, perché la faccenda ha a che fare con la democrazia, non può non stupire la disattenzione con cui la politica assiste da anni a questa strage. La prova? Nelle ultime sei legislature, a partire dal 1996, sapete quante proposte di legge sulle edicole compaiono nelle banche dati di Camera e Senato? Una sola. Risale al luglio 2009 e l' ha presentata l' ex senatrice Laura Allegrini, già missina in forza al Popolo della libertà. Proponeva di arginare il calo delle vendite dei giornali, pensate un po', informatizzando le edicole. Illusa. La sua proposta non fu mai esaminata.
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