Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano”
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«O mio dilettissimo Tobia, a te che sei la creatura mia, dedico questa poesia, così non penso più alla pandemia». E ancora: «Io son Nichi Vendola, e i figli non li metto mica in vendita. Io, che ho sconfitto Raffaele Fitto, preferisco l'utero in affitto».
nicki vendola intervistato
Ci siamo divertiti a immaginare quali potrebbero essere i componimenti raccolti nel volume che l'ex governatore della Puglia e leader di Sel si appresta a dare alle stampe, come annunciato ieri a Rai News 24: «Ho scritto un libro di poesie che spero uscirà in primavera».
Vendola, che ha lasciato la politica nel 2016, è così tornato alla sua passione originaria, che gli aveva consentito di sfornare raccolte liriche imperdibili, da Prima della battaglia nel 1983 a La debolezza nel 1997. Poi la sua fervente attività di versificatore si era sospesa, essendosi lui dedicato alla vita di partito.
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E a lungo, durante il suo mandato, non si era capito se Vendola fosse un poeta prestato alla politica o un politico che pretendeva di fare il poeta, non riuscendo a fare bene nessuna delle due cose. Ora che Nichi fa solo il babbo del piccolo Tobia e l'intellettuale, l'equivoco si è dipanato e lui è tornato a sentirsi erede della grande tradizione poetica italiana.
Dimenticate dr Vendola, è rimasto mr Nichi, che sforna figli e versi, con la piccola differenza che i versi almeno li semina e partorisce lui, mentre per la prole delega il compito generazionale e gestazionale ad altri. Le sue poesie, invece, sono tutta farina del suo sacco. E lo capisci dalla versificazione barocca, ridondante che caratterizza le sue precedenti fatiche, talmente verbose da sembrare supercazzole.
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Pensi ai versi di Ultimo mare, silloge pubblicata nel 2003 da Manni, in cui Vendola pare raccontare la fine della fede nel sol dell'avvenire: «Ossario d'utopia Stranezza, straniante, stranita L'alba di poi/ disattesa Ai giorni non dire/ l'attesa/ ché pesa». Straniti e straniati dopo la lettura, ci convinciamo che il sogno in un domani radioso, promesso dal comunismo, deve essere crollato anche perché nessuno comprendeva cosa diavolo dicesse Vendola.
NICHI VENDOLA E IL FIGLIO TOBIA
Altre volte l'ex leader di Sel si è cimentato nel mescolare storie e Grande Storia, come nella raccolta del 2001 Lamento in morte di Carlo Giuliani, dedicata al giovane no-global che al G8 di Genova provò a lanciare un estintore contro un carabiniere, venendo da quello ucciso: «Carlo ti senti ostaggio/ candelotto del tempo/ sfumato nel miraggio/ di un'età senza scampo», scrive il Nostro.
Il racconto diventa per il Vate delle Puglie l'occasione per manganellare verbalmente le forze dell'ordine: celerini e, in quanto tali, fascisti. In Filastrocca del Diaz il Poeta incompreso e incomprensibile avverte: «Al Diaz questi bambini/ imparano lo sfratto/ L'igiene dei celerini/ Il fascio al suo contatto». Nella raccolta si parla anche di «un altro carosello/ di carri armati e irati» che «ti spezzano i carati/ del sogno tuo degli anni» in quanto è giunta «l'ora del manganello».
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Gli estimatori crederanno che ora Vendola, in occasione dei 700 anni dalla morte di Dante, abbia voluto mettersi al suo livello, dando vita a una sorta di Sinistra Commedia. I detrattori lo giudicheranno invece con le parole di Marco Rizzo, comunista e suo avversario: «Vendola è un poeta del nulla».
Sia chiaro, non un poeta Nichi-lista, ma uno che non ha nulla da dire. Il giudizio più equanime resta però quello di Benedetto Croce, secondo cui «fino a 18 anni tutti scrivono poesie; dopo, possono continuare a farlo solo due categorie di persone: i poeti e i cretini». E noi vogliamo credere che Vendola sia... un poeta.
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