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    ULTIME DAL FRONTE DELLA GUERRA PER I CONTENUTI D’AUTORE ONLINE – IN CANADA GOOGLE HA BLOCCATO L’ACCESSO AI SITI DI NOTIZIE IN RISPOSTA ALLA LEGGE SUL PAGAMENTO DEI CONTENUTI GIORNALISTICI – L’ONLINE NEWS ACT, IN DISCUSSIONE IN SENATO, PREVEDE UN ACCORDO TRA GLI EDITORI E LE PIATTAFORME CHE VEICOLANO CONTENUTI D’AUTORE – DA “BIG G” FANNO SAPERE: “SI TRATTA DI UN TEST RISTRETTO AL 4% DEGLI UTENTI CANADESI”. MA IL PREMIER TRUDEAU ENTRA DURO: “È UN TERRIBILE ERRORE” – LA POSIZIONE DI META-FACEBOOK E LA DISCUSSIONE IN ATTO IN EUROPA…


     
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    Estratto dell’articolo di Federico Cella per www.corriere.it

     

    google canada google canada

    L’ultimo atto è stato l’entrata a piedi uniti del primo ministro canadese Trudeau. Ma non sarà l’ultimo capitolo di un braccio di ferro sul valore dei contenuti d’autore online che si sta giocando in diverse parti del mondo.

     

    In Australia il progetto di far pagare il copyright agli editori da parte delle grandi piattaforme di distribuzione – Meta e Google su tutte – è diventato legge nel 2021 (e sarebbe valso circa 200 milioni di dollari per i giornali australiani). Negli Stati Uniti e nell’Unione Europea se ne sta discutendo da tempo. E il fatto che Google abbia risposto all’Online News Act – ora all’attenzione del Senato – sperimentando nei giorni scorsi il blocco dell’accesso alle notizie da motore di ricerca o Google News ha fatto infuriare il capo del Governo nordamericano.

     

    il primo ministro canadese justin trudeau il primo ministro canadese justin trudeau

    È un terribile errore», ha commentato Justin Trudeau, dicendosi letteralmente «infastidito» dall’azione del colosso americano. «Mi sorprende davvero che Google abbia deciso di impedire ai canadesi di accedere alle notizie piuttosto che effettivamente pagare i giornalisti per il lavoro che fanno».

     

    Sulla scorta di quanto fatto in Australia, il Bill C-18 canadese – meglio conosciuto appunto come Online News Act – chiederebbe a piattaforme come Facebook (Meta), Google e Youtube (Alphabet) di negoziare con gli editori del Paese accordi per pagare per i loro contenuti d’autore. Sui quali le big tech monetizzano tramite la pubblicità.

     

    Nessuna risposta di Google è stata registrata al momento dopo l’intervento di Trudeau. Ma la società di Mountain View si era già espressa nei mesi scorsi – presentando i propri dubbi di fronte alla commissione governativa -, e nei giorni scorsi direttamente sulla sperimentazione «di blocco» messa in atto. «

     

    google news google news

    […] Google non ha fatto altro che seguire la strada già aperta da Meta-Facebook. Che non solo aveva bloccato i contenuti prodotti dai giornali per gli utenti australiani in risposta al News Media Bargaining Code promulgato nel Paese nel 2021 – blocco durato pochi giorni e seguito da un accordo tra le parti -, ma aveva già minacciato lo scorso autunno di replicare l’operazione in Canada.

     

    Ma qual è la posizione dei due colossi della tecnologia di fronte a queste leggi? Le argomentazioni si possono leggere nelle osservazioni lette dai rispettivi rappresentati davanti alla commissione istituita dal Governo canadese.

     

    justin trudeau a taormina justin trudeau a taormina

    […] In sintesi, i due marchi convergono su una prima istanza, economica: gli editori di giornali, e tutte le altre realtà economiche del Paese, usufruiscono gratuitamente dell’enorme platea delle due piattaforme per pubblicizzare i propri prodotti. Su cui poi i giornali costruiscono il loro patrimonio di abbonati.

     

    […] Entrambe le lettere convergono sul rischio per la concorrenza, rischi soprattutto per i piccoli editori, meno strutturati e con meno contenuti da veicolare, a seguito della legge. È quindi interessante l’affondo fatto da Google sulla qualità dei contenuti. «C-18 definisce le imprese di notizie idonee in modo estremamente ampio e non richiede a un editore di aderire agli standard giornalistici di base. Ciò porterà alla proliferazione di disinformazione e clickbait». Previsione ripresa anche più avanti: «Il pagamento per i link incentiva anche contenuti clickbait economici, di bassa qualità rispetto al giornalismo di interesse pubblico». Il braccio di ferro va avanti.

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