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    IN EUROPA COME AL SOLITO NON C’HANNO CAPITO UNA MAZZA: NEI PALAZZI DELLA COMMISSIONE EUROPEA FESTEGGIANO PER LE DIMISSIONI DI BORIS JOHNSON, MA FORSE IGNORANO CHE TUTTO IL PARTITO CONSERVATORE È ULTRA-FAVOREVOLE ALLA BREXIT, E CON LORO I CITTADINI – NON C’È NESSUNA SPERANZA CHE LONDRA RIENTRI NELL’UNIONE EUROPEA. SUNAK, TRUSS, WALLACE: CHIUNQUE SARÀ IL SUCCESSORE DI “BORIA”, NESSUNO HA INTENZIONE DI RINEGOZIARE CON BRUXELLES IL “DEAL” SULL’IRLANDA DEL NORD


     
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    Andrea Bonanni per “la Repubblica – Affari & Finanza”

     

    Boris Johnson Brexit Boris Johnson Brexit

    Nessuno, in Europa, ha versato lacrime assistendo al mortificante tramonto politico di Boris Johnson. L'uomo che si era intestato la Brexit esce di scena per la manifesta inadeguatezza sua e di una classe dirigente conservatrice che era venuta alla ribalta sull'onda del populismo anti-Ue. La separazione dall'Europa si è dimostrata, per i britannici, un pessimo affare.

     

    La promessa di compensare i costi del divorzio trasformando il Regno Unito nel polo di riferimento di un mondo globalizzato non si è concretizzata. La speranza di ricostituire un nuovo Commonwealth anglofono sulle memorie dell'Impero britannico non ha funzionato. Anche il lungo e doloroso processo della Brexit non si è mai veramente chiuso per le pretese di Londra, che ha voluto riaprire il dossier irlandese rimangiandosi gli accordi sottoscritti dello stesso Johnson.

     

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    Nel giorno in cui il premier ha gettato la spugna dopo le dimissioni di 57 membri del suo governo, la sterlina era ai minimi storici e ha accolto la notizia rialzando la testa. Non è un bel viatico per l'uomo che voleva rifondare l'Impero. Tuttavia a Bruxelles e nelle capitali europee pochi si aspettano che l'uscita di scena di Johnson possa avere effetti immediati sui pessimi rapporti che l'Europa ha con il Regno Unito.

     

    L'ipotesi di un ritorno di Londra nella Ue è considerata completamente irrealistica. Persino i laburisti, possibili vincitori delle prossime elezioni, hanno nettamente scartato l'idea. Il popolo britannico si è pronunciato con un referendum nel 2016 e, se anche oggi forse farebbe una scelta diversa, non è nel carattere e nella cultura nazionale cambiare posizione come una banderuola.

     

    Inoltre i conservatori, che resteranno per ora al governo, hanno fatto della Brexit la loro bandiera. Meno riusciva a dare corpo alla palingenesi promessa, più Johnson si accaniva a cercare di dimostrare che il divorzio dall'Europa è stato una scelta giusta.

     

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    La corsa per dare il via alle vaccinazioni anti-Covid qualche settimana prima della Ue, anche se poi la Gran Bretagna è stata colpita dall'epidemia molto più duramente del resto d'Europa, è stato solo uno dei numerosi casi in cui Downing Street ha spinto sull'acceleratore di una competizione artificiale con il Continente.

     

    La stessa decisione di riscrivere il protocollo per l'Irlanda del Nord, rinnegando gli accordi sottoscritti con Bruxelles, è frutto della continua ricerca di "nemico" europeo da additare all'opinione pubblica populista che ha voluto la Brexit.

     

    È difficile che le diffidenze e le incomprensioni accumulate in questi ultimi anni si dissolvano con l'uscita di scena di Johnson. Già la corsa per la sua successione alla testa dei Conservatori si giocherà in larga misura sul tasso di sovranismo e di anti-europeismo dei possibili candidati. I danni che il premier britannico ha provocato nei pochi anni del suo regno richiederanno molto tempo per essere riparati.

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