Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
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Il problema non sono le sedie vuote in una piazza: non è mica da questi particolari che si giudica una coalizione. Il punto è che il centrodestra mostra di perdere giorno dopo giorno i contorni dell'alleanza politica, e il fatto che continui a presentarsi unito per le strade e nelle urne appare più un temporaneo stato di necessità che la proiezione di un disegno strategico.
Ce n'è la prova nel modo in cui ieri - al termine della manifestazione - autorevoli dirigenti dei tre partiti riconoscevano sottovoce il progressivo logoramento dei rapporti. D'altronde, basterebbe un gesto per cancellare l'immagine da «separati in casa»: presentare insieme in Parlamento una proposta di riforma elettorale in senso maggioritario.
matteo salvini, antonio tajani e giorgia meloni
Sarebbe il segno dell'indissolubilità della coalizione. Non sarà così, e per il centrodestra il momento della verità arriverà in autunno. Paradossalmente potrebbe essere la vittoria alle Regionali a mettere in crisi l'alleanza, perché un simile risultato provocherebbe un contraccolpo sul governo. E a quel punto si aprirebbero altri giochi. Alcuni sono già in incubazione.
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Come racconta Rotondi, diccì di tendenza berlusconiana, «Verdini sta mirando a spacchettare Forza Italia per affidare a Renzi un nuovo centro, in attesa di farlo alleare con il genero», cioè Salvini.
L'ipotesi è smentita da uno degli uomini più fidati del segretario della Lega, che ammette la liaison tra «i due Matteo» ma sostiene che «la storia tra i due è finita tempo fa». Semmai proprio Salvini avrebbe invitato i suoi dirigenti del Lazio a tenersi pronti, «perché a breve si voterà per la Regione».
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Traduzione: Zingaretti andrebbe al governo, lasciando la guida del Pd a Bonaccini e consentendo a Renzi di rientrare nel vecchio partito. Infilarsi con la chiave delle supposizioni in casa altrui non è corretto, ma tanto basta per intuire il tramestio nel centrodestra e per capire in prospettiva quali siano le sue sorti. Specie se il Parlamento varasse un sistema elettorale proporzionale, che equivarrebbe al definitivo rompete le righe della coalizione.
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Il Pd sostiene che Salvini sia «orientato ad accettarlo», e pure nel Carroccio confermano la tesi, siccome sono «stanchi» di dover dividere il tetto con la Meloni. A sua volta la leader di Fratelli d'Italia, che formalmente si batterà per il maggioritario, da una legge proporzionale «trarrebbe giovamento», come sussurra un esponente di FdI. Eppoi c'è Berlusconi, l'oste con il quale gli alleati devono (ancora) fare i conti, e che - per dirla con Rotondi - «in questa legislatura si giocherà la sua eternità politica».
Tutti attendono le mosse del Cavaliere, che per effetto del posizionamento «responsabile» tenuto verso il premier già oggi rivendica il vertice dell'authority per le Telecomunicazioni, questione che gli sta molto a cuore. Ma in autunno il suo potere contrattuale in Parlamento sarà destinato a crescere. Ed è allora che si troverà al crocevia delle principali decisioni.
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È opinione comune, nella Lega e in FdI, che a ottobre Berlusconi non dovrà più pagare dazio all'alleanza, e senza più appuntamenti elettorali di coalizione si muoverà in autonomia.
Se Conte entrasse in crisi, potrebbe concordare la legge elettorale (proporzionale) e il sostegno (più o meno formale) a un nuovo governo, avendo in cambio la compartecipazione alla scelta del prossimo capo dello Stato. «Perciò il Pd gli sta lisciando il pelo», commentano nel Carroccio dopo l'intervista di Orlando al Corriere : «E Silvio un modo per aiutarli lo trova.
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Lo fece già con Renzi, quando gli mandò in soccorso Verdini». Così il Cavaliere decreterebbe la sua «eternità politica», influendo sui processi decisivi degli anni a venire.
Saranno solo «cattivi pensieri» tra alleati, ma danno la plastica rappresentazione di ciò che è ormai il centrodestra appena lascia il palco. È certo che i leader della coalizione troveranno sempre un modo per presentarsi insieme: per esempio da Conte, se il premier per una volta prendesse una decisione e li invitasse...
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Simone Canettieri per “Il Messaggero”
Sotto un sole giaguaro, meglio non agitarsi troppo. E così nel retropalco Giorgia Meloni (con mini ventilatore rosa a pile a forma di topolino), Matteo Salvini (camicia bianca, madida di sudore, fuori dai jeans) e Antonio Tajani (l'unico in giacca, seppur senza cravatta) stringono un patto di non belligeranza. «Ovviamente non parliamo di Mes», dice il vicepresidente di Forza Italia con tono risolutorio, ma preoccupato.
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La leader di Fdi annuisce, provata dall'afa («Qui mi sciolgo»). E quello della Lega conferma: «Il Mes? L'ho cancellato dai miei appunti, vedi?».
E in effetti nei tre interventi degli altrettanti capi del centrodestra, l'argomento più divisivo del momento non sarà nemmeno sfiorato. Puff: evaporato. D'altronde sono 30 gradi, umidità del 60%: perché affannarsi? «Meglio la Valtellina, sa?», scherza Roberto Calderoli, in bermuda stile Pontida, grande maestro di numeri e regolamenti in Senato, dove dovrebbe partire la «spallata di settembre al governo» che tutti dicono di volere, ma a cui nessuno crede fino in fondo.
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«Arriveranno un po' di senatori grillini da noi», annuncia Calderoli senza dire quando. Allora è fatta, no? «Macché Renzi si sta muovendo con i parlamentari campani di Forza Italia: ne prenderà altri, dopo Carbone».
Ma quindi la cacciata del governo è un sogno di inizio estate o rischia di essere un'insolazione in questa piazza del Popolo, per nulla piena, e trasformata in un labirinto di «entrate» e «uscite» in virtù del distanziamento fisico? «Al voto subito!», strilla il titolo cubitale della rivista sovranista Nazione futura, per l'occasione in versione cartacea. Ma in molti, specie tra i colonnelli meloniani-salvianiani, guardano con diffidenza alle mosse di Berlusconi.
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La senatrice Maria Rosaria Rossi e un gruppetto di vestali forziste cercano un angolino d'ombra. E magari vorrebbero stare in Provenza, anche loro. «Ma quando finisce?», chiede una parlamentare azzurra. Cosa: il governo o il comizio, onorevole? «No, scusi, riflettevo ad alta voce». «Dubito che dopo le regionali si riuscirà a far saltare l'esecutivo. Magari Zingaretti entrerà a fare il vicepremier e al suo posto candiderà Sassoli», sospira e vaticina Claudio Durigon, antenna di Salvini a Roma e nel Lazio.
SUL PALCO Intanto, la giornalista moderatrice Maria Teresa Maglie, capelli biondi con ciocche blu, manda messaggi rincuoranti: «Il Paese potrebbe essere svenduto a pezzi, magari dagli stessi cinesi che ci hanno impestato». Si cercano parole chiave comuni e condivisibili. Anche se i gazebo di Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia segnano i diversi approcci dei partiti. In quello azzurro, per esempio, si raccolgono le firme per Berlusconi senatore a vita. Maurizio Gasparri si affanna a scacciare i fantasmi degli inciuci «La piazza di stamattina stronca e boccia tutte le affermazioni o le sviolinate del premier, che Forza Italia considera incompetente e ipocrita».
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Le due anime della destra, Matteo e Giorgia, si sono divisi il lavoro. Il primo ha lanciato l'iniziativa, la seconda ha messo il suo partito a gestire il complicato servizio d'ordine e tutta la logistica dell'evento. «Senza di noi sarebbe stato impossibile», ammette la consigliera regionale di FdI del Lazio, Chiara Colosimo. Si cercano dunque slogan per stare insieme e dissimulare le distanze: «Libertà, libertà», urla Tajani.
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Siccome la competizione tra FdI e Lega ormai è palpabile, e anche i simpatizzanti del Carroccio iniziano a guardare con ammirazione «a Giorgia» (mentre una volta era il contrario, come ammette Guido Crosetto), si attende proprio l'arrivo di Meloni per iniziare. E l'ultima dei tre tenori a presentarsi, accompagnata dal compagno Andrea Giambruno, che paziente si mette in prima fila, a prova di ustione. «Voglio tutti seduti», intima la presidente di Fratelli d'Italia a chi gestisce questo forno a microonde all'aria aperta. Le canzoni sparate dal palco fanno il resto.
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I big forzisti (pochi) si emozionano con Gli anni d'oro degli 883, tutti gli altri con Cesare Cremonini (Domani sarà/un giorno migliore/vedrai). Dopo il palco i selfie. E anche il rito divide nell'approccio il centrodestra: Tajani preferisce evitare; Salvini si dà in pasto alla folla che lo tocca, lo abbraccia, lo invoca (le mascherine sembrano essere inutili orpelli), Meloni ha organizzato dei punti per strada con adesivo per terra con su scritto: Se vuoi una foto con Giorgia aspetta qui. Dopo due ore anche questa è fatta, e comincia a piovere. Il popolo del centrodestra forse sarà pure unito. Ma di sicuro è un po' bagnato.
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