Estratto dell’articolo di Irene Soave per www.corriere.it
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Il suo caso ha fatto il giro del mondo quando, nel 2011, è entrato nel Guinness dei Primati: Iwao Hakamada, ex pugile giapponese condannato a morte per avere ucciso il suo capo e la sua famiglia, è in attesa di essere giustiziato dal 1968. Oggi ha 86 anni, e una sentenza della Corte Suprema potrebbe riaprirne il processo, dopo più di mezza vita passata in carcere.
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Quando nel 1966 il capo di Hakamada, la moglie e i loro due figli erano stati trovati accoltellati a morte nella loro casa poi incendiata a Shizuoka, nel Giappone centrale, fu lui il primo sospettato. Unico indizio, tracce di benzina e sangue su un suo pigiama. Iwao Hakamada, ex pugile allora già ritiratosi dallo sport, e operaio in una fabbrica di miso, fu accusato di incendio doloso, rapina e omicidio plurimo.
Ammise tutto in una confessione che poi definì sempre «estorta» con botte e minacce dalla polizia. Già nella fase istruttoria del processo, ritrattò la confessione. I giudici non gli credettero, e lo condannarono a morte.
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Dal 1980 al 2014, i legali di Hakamada e varie campagne di Amnesty International e di associazioni di pugilato di tutto il mondo hanno chiesto in ogni modo che il processo fosse riaperto; solo nel 2014, al compimento del suo 78esimo anno, il tribunale di Shizuoka ne ha disposto la scarcerazione «in ragione della sua fragilità mentale e fisica» e ha disposto di istruire un nuovo processo, con nuove prove a disposizione che l’avrebbero scagionato. Ma nel 2018 l’Alta Corte di Tokyo ha annullato la riapertura del processo. […]
Hideko Hakamada sorella di Iwao iwao hakamada 1 iwao hakamada 2