Giorgio Ursicino per “il Messaggero”
MERCATO AUTO IN ITALIA
Un cumulo di macerie. A questo è ridotto il mercato dell'auto italiano. Un business che, fino a pochi anni fa, era il quarto del mondo, dietro gli Stati Uniti, il Giappone e la Germania. Certo, le cose cambiano e si trascinano dietro classifiche e gerarchie. Per arrivare a tanto, però, è evidente che ci abbiamo messo del nostro, altrimenti non sarebbe stato possibile. Quando Romano Prodi era a Palazzo Chigi amava ripetere: «Gli incentivi? È una cosa di cui non si parla. Si fanno. Altrimenti le vendite si bloccano».
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Una regola antica e, tutto sommato, semplice che, in una fase come questa piena di imprevisti ideali per catalizzare l'attenzione, è stata completamente ignorata. Sicché i dati di immatricolazione sono da brividi. Per ritrovare un trend tanto disastroso bisogna tornare al 1967, quando il boom dell'auto si doveva ancora concretizzare. In Italia a marzo (storicamente uno dei mesi migliori) sono state consegnate 119.497 vetture, il 29,7% in meno rispetto all'anno scorso (in piena pandemia) e il 38,5% in meno se confrontato con le stesso periodo del 2019, prima che arrivasse il virus.
MEZZO SECOLO FA
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Non si tratta di un picco, ma di una tendenza visto che le cose nel trimestre non sono andate molto meglio: 338.258 targhe, un crollo rispettivamente del 24,4% e del 37,1%. Possibile che questa caduta libera possa dipendere solo dagli incentivi quotidianamente annunciati ma mai attuati? Ovviamente no. Le variabili che hanno inciso sul trend sono numerose, dalla pandemia alla guerra, fino a alla sventolata transizione ecologica che ha cappottato il mondo dell'auto. Se avessimo avuto gli ecobonus strutturali e non quelli a singhiozzo, si potevano contenere le perdite.
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In effetti non è difficile da capire che, in un periodo poco esaltante come l'attuale, non molti acquistano un'automobile se, la settimana successiva, possono risparmiare qualche migliaio di euro. Fin qui il danno, ma non è detto che non segua la beffa. Ascoltando i punti di vista di numerose associazioni del settore, non è detto che l'arrivo degli incentivi placherà la polemiche. Eppure adesso, grazie al pressing del ministro Giancarlo Giorgetti, dovrebbero essere strutturali, durare diversi anni e coinvolgere cifre di tutto rispetto (quasi 100 milioni al mese).
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Ma come farli? Non tutti la pensano alla stessa maniera e la soluzione adottata potrebbe non essere quella giusta, soprattutto del punto di vista ambientale. Certo, per un paese che ha messo l'ecologia ai primi posti, introdurre degli ecobonus che non hanno come priorità la qualità dell'aria potrebbe sembrare un presa in giro. Quantomeno dovremmo cambiare nome ai bonus.
I punti caldi.
Anzitutto la cifra, ma soprattutto il tetto di spesa, abbassato in confronto a quelli dello scorso anno potrebbero mettere fuori gioco numerosi modelli perché, si sa, le auto elettriche non sono proprio economiche. Poi non è facile da capire fra le ricaricabili perché le plug-in potrebbero ricevere un bonus superiore alle full electric che sono molto più pulite. E c'è un ultimo punto da chiarire: secondo indiscrezioni, dagli incentivi sarebbero fuori le auto aziendali.
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In attesa di capire, l'Anfia chiede che i sostegni non escludano le vetture intestate alle società perchè sarebbe «una forte limitazione, trattandosi di un canale di vendita in grado di dare un contributo importante alla diffusione della mobilità elettrica». Quanto alle singole situazioni, il danno provocato dalla distrazione dei governi italiani a Stellantis è tra i più significativi. Basti dire che a marzo la casa italo-francese ha venduto in Italia solo 43.293 auto, il 36,6% in meno dello stesso mese del 2021, registrando una quota del 36,2% a fronte del 40,2%.