Estratto dell’articolo di Eugenio Bruno e Claudio Tucci per “il Sole 24 Ore”, pubblicato da “La Verità”
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Le ultime a lanciare l'allarme sull'Italia dei troppi Neet sono state Cgil e Action Aid che hanno ricordato come nel 2020 il nostro Paese sia risultato primo in Europa per 15-34enni che non studiano né lavorano: oltre 3 milioni, con una prevalenza femminile pari a 1,7 milioni. Un concetto che, salvo qualche variazione sull'anno di riferimento e la fascia d'età considerata, è stato rilanciato di recente anche da Ocse ed Eurostat.
Prendiamo l'organizzazione parigina; il suo rapporto annuale Education at a glance 2022 ha evidenziato che la quota italiana di Neet nel range 25-29 anni, dopo essere aumentata nel 2020 fino al 31,7%, l'anno dopo ha raggiunto il 34,6%. Stesso discorso per i 20-24enni: a fronte del calo dal 28,5% al 27,4% tra il 2019 e il 2020, nel 2021 è risalita al 30,1.
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E allo stesso anno si riferiscono anche le statistiche della Commissione europea che dimostrano come il nostro Paese viaggi a livelli record nell'intera fascia 15-29 anni, oltre che nei sotto-segmenti 15-19, 20-24 e 25-34. Al Sud le percentuali appena descritte finiscono quasi per raddoppiare. Il tema non è nuovo. A livello comunitario se ne parla dal 2014. Già la prima edizione del piano Garanzia Giovani aveva provato ad arginare il fenomeno; allora si partiva con un tasso di Neet di poco superiore al 23%. Oggi siamo addirittura più su.
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Complici politiche attive quasi inesistenti in Italia, scarse performance dei centri pubblici per l'impiego, e un mix di misure poco coerenti con i reali bisogni dei giovani finiti ai margini del mercato del lavoro. Il risultato di tutto questo è che un giovane su quattro in Italia non studia e non lavora.
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